giovedì 31 gennaio 2013

La mia città


Come definire Teramo?
Malinconica, vitale, decadente, pigra, contraddittoria, misteriosa, imbrogliona, golosa, sensuale?
Non saprei quale aggettivo usare.
Io amo questo posto e non solo perché ci sono nato.
Adoro la sua indolenza, mi avvinghia il suo essere riservata, lontana dai fiumi di folla, dai sorrisi turistici, da palazzi sfarzosi.
Quello che mi attrae è la fantastica banalità di una città di provincia spalmata intorno a colli ubertosi e a metà strada tra mare e montagna.
La struttura medievale è stata cancellata in molte parti da sovrapposizioni urbanistiche e i “portici dell’ex Fumo” fanno da ragnatela del tempo che fu.
Vista dalle colline la città pare la stessa da sempre, l’”Interamnia”, tra i due fiumi.

mercoledì 30 gennaio 2013

La chiesa di san Flaviano a Tavolero

La Chiesa di S. Flaviano nel minuscolo e ormai abbandonato borgo di Tavolero, nel comune di Rocca Santa Maria (TE), è edificio rappresentativo dell’architettura dei Monti della Laga.

Le prime notizie sulla chiesa risalgono al 1324; le visite pastorali dei Vescovi di Teramo, dal 1583 al 1908, delineano i suoi caratteri architettonici: aula unica con coro quadrato, due ingressi, campanile sulla facciata principale ad ovest, utilizzo di un unic omateriale da costruzione, l’arenaria.

Nel 1942 la chiesa subisce una pesante manomissione che ne modifica completamente l’assetto originario, con la demolizione della facciata principale, il ridimensionamento del corpo di fabbrica, la costruzione di un nuovo campanile e di un muro divisorio, il cambiamento del verso delle falde del tetto.
Dal 1954 la chiesa cade in rovina ed attualmente si presenta allo stato di rudere.

Nonostante le indebite distruzioni, S. Flaviano rimane esempio raffinato di architettura religiosa del ‘300 in provincia di Teramo.

I prospetti esterni mostrano, infatti, una cornice basamentale, molto diffusa nelle chiese benedettine di Abruzzo e Molise, che disegna l’intero perimetro e che, nella facciata sud, sale a formare il profilo del portale, decorato da fregi vegetali.
Le monofore sono scolpite con motivi floreali e geometrici, accuratamente rifinite: presentano un’iscrizione “Magister Mactheus”, resa tuttavia poco leggibile dall’erosione della pietra.

All’interno, un grande arco a tutto sesto separa l’aula dal coro, poggiando su mensole con decori vegetali di impronta cinquecentesca.

La chiesa di S. Flaviano è stata oggetto di una approfondita ricerca per una tesi di laurea, preceduta da uno studio finalizzato a riconoscere ed inquadrare cronologicamente i caratteri tipologici e costruttivi degli edifici, in particolare religiosi, presenti sul versante teramano dei Monti della Laga.

Nel caso di S.Flaviano, l’analisi delle murature e il confronto con la documentazione storica hanno permesso il riconoscimento delle fasi costruttive, delle strutture originarie e delle modifiche dei secoli successivi: il progetto di restauro si pone di fronte ad un’operazione critica di rilettura dell’organismo architettonico, nel pieno rispetto dei valori storici e artistici.

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Roberta Melasecca si è laureata con lode nel 2000 in architettura, con una tesi dal titolo: ”L’architettura dei Monti della Laga: dall’atlante delle tecniche costruttive al restauro di S. Flaviano a Tavolero”.
Ha seguito corsi di perfezionamento sul restauro, sul patrimonio artistico e sugli interventi in zone a rischio sismico.

Architetto, in cosa consisteva il progetto di restauro sviluppato per la Chiesa di S. Flaviano a Tavolero?

«Il progetto si proponeva di restituire in modo critico l’immagine persa della chiesa. Sono stati ideati elementi che tentavano di rendere l’edificio religioso protagonista del momento del restauro: ricostruendone l’originario perimetro si è cercato di rivelare le fasi storiche e le modificazioni subite nel corso del tempo, facilitandone la leggibilità e la comprensione.
Ed ogni materiale del progetto, il legno,l’acciaio, il vetro, la pietra aveva il compito di sottolineare funzioni espressive
specifiche».

Oggi sarebbe realizzabile questo progetto?

«In questo momento storico dominato da una scarsità di risorse economiche, ma anche da una ridotta conoscenza e modesto interesse per le zone montane, qualunque progetto di recupero potrebbe essere considerato inutile o eccessivo: è necessario pertanto un programma di riqualificazione, potenziamento turistico ed economico di tutto il territorio che preveda l’inserimento delle emergenze architettoniche all’interno di un percorso più ampio, strutturato ed integrato.
In quest’ottica, probabilmente, l’intervento più idoneo potrebbe consistere in un congelamento dell’edificio nella sua condizione di rudere, inserendo elementi minimali che rimandino all’immagine unitaria della chiesa».


Articolo pubblicato sul N°6 di Paesaggio Teramano (Novembre - Dicembre 2012)
Chi lo desidera può visionare la rivista in *pdf oppure fare il download dello stesso *pdf).

L'articolo è stato redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

L'articolo è stato condiviso su Facebook nella bacheca di Sergio Scacchia e nella pagina "Il Mio Ararat" e su Google Plus.

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martedì 29 gennaio 2013

Colline verdi su Teramo!


Teramo, l'antica capitale dei Pretuzi, è una città millenaria che non cede facilmente al moderno e in grado di entusiasmare il visitatore che cerca arte, storia, cultura.

Tutto è racchiuso in uno spazio ristretto tra la maestosità del Duomo, i nobili palazzi e i resti evidenti della civiltà romana.

La città, come si nota da questa foto scattata dall'alto di una delle verdi colline intorno, è racchiusa tra mura antiche e i fiumi sottostanti, Tordino e Vezzola, che creavano l'antica Interamnia, alla confluenza di due corsi d'acqua.

Il suo ambiente naturale è invidiabile, equidistante circa 25 chiolometri dal mare e dalla montagna.

Campotosto, il lago dalle mille vite

Una pedalata invernale sull’anello del Lago di Campotosto con Lucio De Marcellis e Angela Aurini del Coordinamento Ciclabili teramane, per celebrare la futura grande provincia L’Aquila- Teramo.


L’aria è tersa, i colori rendono il paesaggio intenso.
I volatili toccano l’acqua, pescano forniti da madre natura di un becco adunco.
Volteggiano come aquiloni in un silenzio irreale.
Più in là le folaghe agitano le ali, spruzzando gocce tutto intorno.
Calme e silenziose, bianche anatre si muovono con passo lento, tra i canneti.

In cielo vola qualcosa simile a un piccolo falco.
Alcuni pescatori tirano su le canne e guizzano, irrimediabilmente perduti, un coregono e un cavedano.
Questo brulicare di vita anima le sponde del più grande bacino artificiale d’Europa, il lago di Campotosto.

Siamo in pieno territorio protetto, abitato dal lupo appenninico, da rapaci e uccelli migratori che qui utilizzano aree di sosta nel lungo viaggio verso il caldo.

Per il consueto itinerario turistico in bici, Lucio De Marcellis e la moglie Angela, hanno deciso di testare per voi un percorso che sconfina in territorio aquilano, in onore della mega provincia Teramo L’Aquila, che presto sarà realtà.
Questo posto incantevole diventa autentico paradiso in inverno.

Partiamo in sella dalla sommità della strada panoramica che sale da Ortolano.
Il lago con le sue tre dighe è semi ghiacciato ma la temperatura ben si presta per la pedalata programmata.
Si punta verso il paese di Campotosto percorrendo la sommità della prima delle tre dighe, quella che ostruisce il torrente Rio Fucino.

La strada, quasi in piano permette la passeggiata a qualsiasi gamba.
La quota di altitudine è intorno ai 1330 metri circa (la superficie del lago è a quota 1313).

Da queste parti, ricorda l’amico Lucio, usava sostare, per diverse settimane durante l’estate con il suo camper, il poeta dialettale prof. Alfonso Sardella.
Da qui il poeta teramano partiva per le sue incursioni in bici verso il territorio reatino e aquilano.

Più avanti c’è la chiesetta di Santa Maria Apparente, appena fuori il centro abitato di Campotosto.

Secondo la tradizione sarebbe stata costruita per volere della Madonna apparsa il 2 luglio 1604 a un contadino della zona.
Fin dai primi decenni del secolo questo era il Piano di Mascioni.

Osservando vecchie foto d’epoca, si scorgono campi orizzontali a perdita d’occhio e tanto bestiame al pascolo.
Oggi vacche e pecore stazionano sul valico delle Capannelle, cinque chilometri sotto.
Al posto del lago c’era un altopiano conteso per anni dalla popolazione aquilana e quella della vicina Amatrice.

Nel 1318 vi si svolse una tremenda battaglia e Buccio di Ranallo, capitano di ventura dell’Aquila, dopo la sua vittoria, in segno di scherno, fece mozzare le code a tutte le bestie possedute dai nemici.

Dopo una breve salita, giungiamo al paese di Campotosto.

Fra le leggende che popolano questi luoghi, c’è quella del feroce brigante Tosti.
Nessuno può giurare sia esistito davvero.
Pare che, dopo anni di selvagge scorribande con i suoi tagliagole, si trasferì in pianta stabile nel paese che da lui prese il nome.

In piazza incontriamo Gino Carli il cantoniere, vecchio amico di mio padre, che ci offre un buon caffè in piazza.
L’uomo ricorda ancora la ferrovia che correva da Capitignano verso il capoluogo aquilano, trenta chilometri in due ore, per trasportare torba.

Si estraeva il combustibile grazie a 1500 operai, al ritmo di 60.000 tonnellate l’anno per far muovere caldaie a vapore, locomotive e alimentare vecchie caldaie e cucine economiche.

Un impianto di teleferiche di tre chilometri, sorvolava la valle e quindici locomotive e 250 vagoni trasportavano il materiale estratto verso la stazione ferroviaria di Capitignano.

Da qui la torba era destinata a L'Aquila, Sulmona, Roma.

Oggi un grande progetto di ciclabile sull’antico percorso ferroviario è caldeggiato a più riprese dalle associazioni ambientaliste.

Lucio De Marcellis vedrebbe bene in uno degli edifici in disuso di Campotosto, un interessante “Museo della ex ferrovia e della torba”.
Il cantoniere vorrebbe farci rimanere a pranzo.
Sarebbe la fantastica occasione per assaggiare i famosi “coglioni di mulo”, salumi squisiti, specialità gastronomica dal nome poco invitante che nasconde una bontà assoluta!
Non ci facciamo tentare.

Riprendiamo a pedalare.

Una lieve discesa e intravediamo, nei pressi della riva dell’invaso, l’antica strada e il vecchio ponticello, in funzione prima che la piana fosse riempita d’acqua.

Negli anni Quaranta fu sbarrato il tranquillo corso del Rio Fucino, imbrigliato più di un torrente in affluenza dal versante occidentale della Laga, creando il lago, oggi di quattordici chilometri quadrati.

I ricchi pascoli che sfamavano greggi e mandrie di cavalli, scomparvero.
I pastori e gli operai conobbero la triste via dell'emigrazione.
In breve arriviamo al bivio per Poggio Cancelli.

La strada prosegue biforcandosi, verso Amatrice o verso Montereale.
Dopo molti zig zag e lievi saliscendi ecco il mitico “Ponte delle stecche”, chiamato così perché un tempo era di legno, poi sostituito da un manufatto in cemento armato (oggi non più in uso) che corre parallelo all’attuale nuovo ponte e che consente di attraversare il lago per far ritorno al punto di partenza.

Qui c’è la terza e più imponente diga.

Volendo prolungare la pedalata, si può proseguire verso il ramo lacuale chiamato Lago di Mascioni.
La forma a Y del lago di Campotosto e di Mascioni, osserva Angela, rievoca il Lago di Como e di Lecco di manzoniana memoria.

Altre notizie del percorso su www.abruzzoinbici.it

Le foto degli impianti e del paesaggio prima dell'invaso oltre all’affascinante e sconosciuta storia dei luoghi, si possono trovare nell’economica pubblicazione di Aurelio De Santis, "Campotosto e il suo Lago", ediz. Edigrafital - Teramo-1990.


Articolo pubblicato sul N°6 di Paesaggio Teramano (Febbraio - Marzo 2012)
Chi lo desidera può visionare la rivista in *pdf oppure fare il download dello stesso *pdf).

L'articolo è stato redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

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lunedì 28 gennaio 2013

Le colline teramane


Nella foto scattata sulle colline teramane si nota un tratto della superstrada per Roma.

Per la città di Teramo è stato importantissimo uscire dall'isolamento con un'arteria che collegasse velocemente con Roma ma, questa intersezione di strade che si dipanano nelle campagne come stelle filanti, dà l'idea del grande tributo che bisogna pagare al progresso e al "fast food" che è diventata la nostra epoca!