martedì 26 febbraio 2013

Quale sarà il destino di Castiglione della Valle?

L’ombra obesa e quella snella sembrano unirsi come gemelli nel ventre della mamma.

Si proiettano sul moncone del muro mentre il sole acceca con un solo raggio una casa disastrata e segna su di una parete sbilenca l’ora di Castiglione della Valle.

Pare di essere davanti a lancette invisibili slanciate su di uno schermo a mozzicone, tra case spuntate pronte a cedere definitivamente a una morte lenta per polverizzazione.

A quattro anni dal terribile disastro del terremoto che sconvolse l’Abruzzo nel 2009, è sceso il silenzio nella società dei media che ha dimenticato gli sfollati ancora dispersi fra la costa adriatica e la più lontana periferia di quella che fu L’Aquila, città di cultura e musica.

Crediamo ci sia un destino ancora peggiore per i tanti abitanti dei piccoli paesi, non solo aquilani, in gran parte ancora disastrati.

Castiglione della Valle, piccolo borgo ai piedi del Gran Sasso teramano, popolato sin dalla preistoria era, già prima del terremoto, una sorta di mini ghost town, borgo fantasma.

I pochi abitanti che erano rimasti, sfidando la solitudine, l’isolamento e gli inevitabili disagi, fuggirono tutti in quella maledetta notte di aprile e oggi ancora non tornano nel paesino medievale.

Il sindaco PD di Colledara, il noto commercialista Giuseppe Di Bartolomeo che di conti se ne intende, si dice ottimista perché i soldi della ricostruzione stanno arrivando e, presto le case diroccate e puntellate, i muri crollati e il silenzio profondo, faranno posto a ruspe per la ricostruzione.

Nel frattempo il borgo abbandonato dove soggiornò, secondo una storia che ha il sapore del fantastico, la bellissima Lucrezia Borgia con il marito Alfonso d’Aragona, giace quasi come un malato terminale ai piedi del lussureggiante parco naturale del Fiume Fiumetto.

È un Paradiso naturale tra ripide, cascatelle d’acqua e rocce secolari.

Il rischio grande non è se i tempi di ricostruzione si allungano all’infinito, mi dice l’ultimo abitante del paese, il pericolo è lo sviluppo del turismo di massa.

Ci sarebbero, infatti, le mira di una multinazionale londinese nei peggiori incubi dell’ottantenne Antonio Di Luigi, l’unico rimasto nel vecchio borgo medievale a salvaguardare da cemento e posti letto.

Il paese ha le carte in regola per diventare quello di cui molti parlano, l’albergo diffuso.
Ci sono leggende di streghe, c’è una natura sontuosa da queste parti.

C’è la storia dei palazzotti medievali con stemmi e fregi a ricordare le peripezie dei Borgia, una chiesa, seppur disastrata, che è un vero gioiello del XII secolo dedicato a San Michele Arcangelo.

In particolare all’interno del luogo sacro, c’è un pregiato soffitto ligneo dipinto che denota quanto sia antica Castrum Leonis Vallis Sicilianae, conosciuta nei documenti di secoli fa anche come Castrum ad Vallem e che alla fine del 1700 apparteneva alla Diocesi di Penne.

E c’è anche una comoda autostrada per Roma e il suo aeroporto a meno di due ore.

Butteremmo le chiavi della felicità ci dice, agitato nei modi l’irriducibile, mentre dietro di lui fa brutta mostra il muro puntellato. Uccideremmo senza pietà la suggestione di un luogo unico.

Spuntano ora diversi raggi di sole a illuminare tutto il borgo fantasma. Che lassù siano d’accordo con Antonio?

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