Il pianoro di Valle Vaccaro è un luogo magico.
Io, come narro nel libro “Il mio Ararat”, preferisco arrivarci a piedi attraverso una larga pista che da Crognaleto, scende alla strada nei pressi di Corvaro, con un ripido crinale, decisamente ostico e scivoloso nel tratto finale.
L’ultima volta che l’ho percorso, almeno tre volte ho strusciato il sedere e l’ultima caduta mi ha fatto ritrovare abbracciato a un pungitopo che, vi assicuro, non punge solo gli animali.
Dalla strada, si risale il ripido Colle Falcone attraverso una mulattiera in gran parte conquistata dalle erbacce.
Per i pigri la buona notizia è che ci si arriva anche in auto. Basta giungere ad Aprati sulla S.S.80 e prendere per Crognaleto.
Il pianoro, credetemi è un luogo tra i più adatti al picnic, bello come non mai.
Di solito, quando si arriva in questo paradiso terrestre, diventa subito chiaro il toponimo grazie alla presenza di vacche beate che ruminano con occhi languidi nel prato.
Pare trangugino anche le zolle.
Per capire quanto sia sperduto il villaggio di Valle Vaccaro, vi racconto un aneddoto incredibile.
Durante la seconda guerra mondiale, il paese fu risparmiato dalla furia dei tedeschi perché i soldati teutonici, un po’ babbei, erano convinti che oltre quei poveri massi non ci potessero essere luoghi abitati.
Cristo, insomma, non si era fermato a Eboli ma poco prima di Valle Vaccaro. L’isolamento, in quel frangente, fu provvidenziale.
Il popolo pare che si radunò nella chiesina di Sant’Antonio, restaurata negli ultimi anni dell’ottocento e pregò un giorno e una notte intera, ringraziando il Signore che aveva preservato il paese dalla furia distruttrice degli alemanni.
Fa sempre un certo effetto calcare la terra dove, nella seconda guerra mondiale, si rifugiarono tanti partigiani in lotta contro i tedeschi, nel miraggio di raggiungere una vera libertà.
A me pare che la Resistenza continui ancora oggi in questi uomini che non vogliono abbandonare la loro terra, in barba alla morte dell’economia in quota, alla memoria persa tra cardi e zolle non più calpestate.
Il borgo in pietra a m.1105 di quota merita una visita.
Si può ammirare la cinquecentesca Chiesa di S. Antonio Abate, appartenente alla Parrocchia di S. Pietro e S. Paolo di Cesacastina. Probabilmente risalente al Cinquecento, è stata ristrutturata nel 1888 e poi anche di recente.
Si presenta oggi in pietra e malta, con tetto a capanna nella cui parte anteriore sinistra, a destra guardando la facciata, è incastonato un campanile a vela che supporta due campane.
Il piccolo borgo presenta abitazioni antiche risalenti intorno alla metà dell’ottocento costruite con blocchi di arenaria senza l’utilizzo della malta, ancora in buono stato.
La sterrata di Valle Vaccaro, proveniente dal paese semi abbandonato di Altovia, incrocia la mulattiera che porta, attraverso un panoramico pianoro dedicato a San Pietro, la sua sella a 1362 metri e la cresta de La Lama, al paese di Cesacastina.
Questa parte del Sentiero Italia è preda, purtroppo, di frasche e ginepri e a volte, diventa oltremodo faticoso procedere.
Con una camminata di trenta minuti si raggiunge l’abitato a oltre mille metri di quota tra abbacinanti vedute del “grande sasso”, il Nume di pietra, come fu ben definito dallo scrittore abruzzese Fedele Romani.
A piedi si è privilegiati perché in auto é una teoria di tortuosi chilometri tra calanchi e casali abbandonati.
Tra le tante sciocchezze che si possono raccontare, c’è quella che da queste parti non arrivi mai nessuno.
Non credete a queste amenità.
L’ultima volta che sono arrivato in paese, nella tarda primavera del 2011, nel terzo occhio della macchina fotografica ho scoperto un gruppo di ragazzi scout in lontananza.
Zaino in spalla, fazzoletto al collo, lupetti e coccinelle avanzavano a fatica verso il pianoro.
Parevano uno sciame d’insetti blu tutto addensato verso un unico punto, sulla distesa verde, dove alzavano tenda.
In paese trovai diverse famiglie e conobbi anche Michele, vecchio terribile seduto sull’uscio semi cadente dallo sguardo vispo di chi la sa lunga.
Curioso come una vecchia comare, il simpatico ottantenne volle sapere da dove venissi e perché andavo a piedi.
Poi mi offrii un buon bicchiere di vino che lui chiamò “il balsamo degli angeli”.
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