Basta percorrere pochi tornanti sopra i bei paesini intorno a Comunanza in provincia di Ascoli Piceno, per aprire la vista a un panorama meraviglioso.
Ho lasciato il lago di Gerosa, dove canoisti davano fondo alle loro energie di buona ora.
La jeep del mio amico ascolano, over ’60 che chiamo Amedeo Nazzari per via del suo baffo nero sui capelli brizzolati, arranca sulla carrareccia sbrecciata che porta al rifugio del monte Sibilla.
La strada ha sfregiato vergognosamente la montagna in un saliscendi da vertigine, ma ha dato la possibilità di arrivare in alto anche a chi non può permettersi una buona deambulazione.
Il panorama è inenarrabile.
Qualche nube grassa è in movimento in lontananza, ma si scopre tutto: l’intera catena dei Sibillini, le foreste della Laga, i massicci del Gran Sasso, le cime della dea Majella, i reatini e tre quarti di provincia ascolana con il mare Adriatico.
Ho deciso di tornare a visitare la grotta della maga, anche chiamata “antro delle fate”, posta a 2150 metri di altezza.
Mi assoggetto di buon grado alle due ore di camminata.
Chi conosce il posto sa che stiamo parlando di un buco, per giunta quasi ricoperto da pietre muschiate e rocce sfaldate.
Per me è una sorta di “casa degli spiriti” come la chiamerebbe il giornalista Paolo Rumiz.
Anch’io, come tutti, sono rapito dal mito che ha sempre affascinato l’uomo fin dall’epoca classica.
Credo che abbiamo bisogno di fantasticare, di sognare, di immergerci nel mistero.
Hanno tentato negli anni, di allargare il passaggio della spelonca, utilizzando esplosivi con il risultato di rendere ancora più difficoltoso, anche per speleologi esperti, l’ingresso nella sala interna di circa quattro metri di altezza dove la leggenda dice si trovino ragazze di bellezza inaudita.
Qui c’era la dimora della Sibilla appenninica, punto d’accesso al fantastico regno ipogeo della regina condannata in eterno a vivere nelle profondità della terra per essersi ribellata a Dio.
In realtà lei era la fata buona mentre Alcina era la maledetta.
Sibilla, pensate, inviava anche le sue ancelle ad aiutare le giovani delle popolazioni sotto la montagna, nell’apprendere l’arte del filare e del tessere.
Per un terribile sbaglio la maga profetessa fu scambiata per quella cattiva e dovette pagare il fio di colpe non commesse.
L’incredibile figura ha ispirato il disegnatore delle celebri fatine Winx.
Di queste storie misteriose s’imbeve tutto il complesso.
Dall’anticima, infatti, si scopre il lembo finale del minuscolo lago di Pilato, incassato tra il Vettore e le sue Cima Redentore e Pizzo del Diavolo, luogo infernale dove Ponzio Pilato, dopo aver crocefisso Gesù, si sarebbe inabissato con la biga trascinata da bufali imbizzarriti, cadendo nelle grinfie di demoni assatanati.
Luogo di maghi e negromanti, il piccolo specchio lacustre diventerebbe rosso in inverno, scientificamente per la presenza di un microrganismo unico al mondo che assume questa colorazione, per la tradizione in ricordo del sangue versato dal personaggio biblico.
La notizia è che l’Ente Parco, con i comuni ascolani, sta mettendo a punto un progetto di valorizzazione della zona e delle sue enormi emergenze culturali, antropologiche, geologiche, ambientali e di tradizioni.
Qui non ci crede nessuno, tantomeno il mio accompagnatore che mi dice: “Scommettiamo che fra due anni il buco sarà ancora così?”.
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