Dal mio primo libro "Silenzi di pietra".
Mi chiedo perché il mondo abbia smesso di camminare.
Siamo ormai una generazione di un mondo occidentale industrializzato stanca, sola, pigra, che trova inutile il girovagare, camminatori virtuali che vivono prigionieri di tristi pensieri.
Io, al contrario, amo contare a lungo i miei passi.
Mi trovo a fare il classico “struscio” per la bella Amatrice, in territorio laziale, ammirando la chiesa di S. Agostino con il suo ricco portale gotico e l’artistico rosone centrale.
Sono presso la porta Carbonara, uno dei passaggi della cinta trecentesca che un tempo circondava la città.
Ho un’ebbra passione per questa cittadina.
Mi chiedo cosa ci faccia, sperduta tra i monti.
Mi colpisce sempre la facciata orizzontale con il ricco rosone e il bellissimo portale tardo gotico, finemente scolpito.
Percorro per intero il muraglione che porta a San Francesco.
La chiesa è uno dei monumenti più belli della città.
Intorno alla seconda metà del XIII secolo i francescani si insediarono ad Amatrice e successivamente portarono a compimento la chiesa, dedicata in origine alla Vergine e a S. Francesco.
Nel 1639 e nel 1703 due gravissimi terremoti sconvolsero la zona e il complesso subì notevoli danni.
La facciata presenta un portale a cuspide nella cui lunetta è visibile un gruppo in terracotta policroma con la Madonna e il Bambino in mezzo a due Angeli.
Tra le emergenze architettoniche di questo centro montano spicca la duecentesca Torre Civica, rimaneggiata alla fine del Seicento, e che secondo una tradizione orale, tramandata in loco, oscilla di venti centimetri quando suona il grosso batacchio della campana.
Fu il principe Alessandro Maria Orsini ad isolare e rinforzare la torre nel 1684, preoccupato dalle eccessive oscillazioni.
A questo personaggio, ultimo principe di Amatrice, è legata una delle pagine più oscure della storia cittadina.
Nel 1648 fu accusato del barbaro omicidio della moglie, la principessa Anna Maria Orsini, e costretto a scontare 36 anni di carcere a Castel Sant’Angelo a Roma.
“Benvenuti ad Amatrice, città degli spaghetti all’amatriciana”, recita un cartello all’ingresso del paese.
E’ qui, infatti, che la famosa ricetta ha preso forma.
C’è ancora chi conosce il luogo solo per il sentito dire del piatto famoso degli spaghetti che qualcuno vorrebbe realizzato con tagliatelle o fettuccine e che rappresenta una delle superbe gastronomie dello Stivale d’Italia.
La vicenda di questo piatto è sospesa tra storia e leggenda!
Me la racconta un aristocratico del luogo, il Conte De Amicis.
E’ un conte davvero, ragazzi!
Non ne avevo mai visto uno finora!
Racconta, (pensate, ha anche la r moscia come si conviene a un sangue blu) che una sera del 1847, si trovò a passare in questi ameni luoghi venendo dai bellissimi borghi della vicina Salaria, attraverso Ascoli Piceno e Arquata del Tronto, Ferdinando III sovrano indiscusso del Regno di Napoli.
All’illustre visitatore furono offerti, in segno di riverenza, i tipici spaghetti confezionati con il guanciale, i san marzano e il pecorino.
Il re, notoriamente buongustaio, fu rapito irrimediabilmente dal sapido gusto di questo piatto povero dei pastori così sublime nella sua semplicità, e indisse senza indugio una grande festa che durò più giorni, tra mescite di vini e libagioni abbondanti.
Molti anni più tardi il noto scrittore laziale Baccari scriveva che: “…la pecora mite e il bravo maiale donarono insieme formaggio e guanciale per fare un cibo sovrannaturale…”
Il conte è visibilmente soddisfatto.
Come interlocutore, sono il massimo dell’attenzione.
Guardo il nobile cittadino, discendente di una delle famiglie più in vista d’Amatrice.
Sembra alla moda, con i suoi scarponcini Tod’s retrò, tomaia di pelle scamosciata color testa di moro, modelli che negli anni Cinquanta si usavano in montagna ma che col tempo si sono alleggeriti e “ingentiliti” fino a essere indossati sotto una giacca tweed ultima tendenza.
“Non sopporto quei tozzi anfibi militari con tripla suola a carrarmato pesanti come piombo” – dice ridendo. Dettagli di eleganza spicciola che catturano.
Un bel pantalone di velluto a coste e l’aria di chi i suoi anni non se li sente affatto.
Diciamo che occorre gusto, occhio, uso del mondo.
Amatrice non è solo la città della pasta ma un vero paradiso, un’oasi naturalistica ricca anche di tesori artistici di pregevole fattura come la monumentale chiesa di Santa Maria del Suffragio.
Non dimentichiamo di visitare, ammonisce l’amico, il tempio dedicato alla Patrona di Amatrice “Maria SS. di Filetta”, evocatrice di memorie miracolose e meta di una processione infinita nel giorno dedicato all’Ascensione.
Questo è uno dei luoghi che proverebbero la benigna protezione della Vergine verso le nostre terre.
Raggiungo il piccolo villaggio di Filetta sulla riva destra del fiume Tronto per scoprire la storia antica di una pastorella, Chiara Valente cui, tra una tempesta di vento e pioggia improvvisa apparve, in tutta la sua magnificenza, la Madonna, squarciando le nuvole bigie.
In mezzo a quella luce vivida, Maria S.S. promise protezione infinita a quelle contrade, assicurando nei secoli guarigioni prodigiose e salvezza dai nemici.
Non solo!
Amatrice è anche palazzi turriti che testimoniano l’importanza storica dell’antico borgo fortificato e della sua assolata conca.
Capirete dopo una visita accurata che, di là dell’originale piatto pastorale, semplice, povero ma genuino, esiste tutta una serie di emergenze ambientali e architettoniche da lasciare stupefatti.
Su consiglio del distinto signore, vado a leggermi un libro sulle rive del lago di Scandarello.
Da Ascoli Piceno o A14 Adriatica, uscita casello di S. Benedetto del Tronto. Seguire le indicazioni per Ascoli Piceno. Da Ascoli Piceno seguire la via Salaria in direzione Roma-Rieti fino al Km 136,400, bivio per Amatrice in località Ponte Nea..
Da L’Aquila (prossimità casello L’Aquila Ovest della A24) si arriva ad Amatrice percorrendo la SS260 “Picente”. Lungo il tragitto si hanno chiare indicazioni per Amatrice.
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