sabato 10 agosto 2013

Il nobile tempio del Santo Liberatore a Serramonacesca

“Sulla mia tomba non mettete marmo freddo con sopra le solite bugie che consolano i vivi.
Lasciate solo la terra che scriva, a primavera, un’epigrafe d’erba”. (Nella pietra cimiteriale di Adriana Zarri, scrittrice)

C’era una volta un’abbazia.
Era grande, bella e potente.

Edificato dai monaci di Montecassino, figli spirituali di San Benedetto, il complesso monastico esisteva ancora prima del documento ufficiale dell’anno 884, come tempio pagano donato dai patrizi romani Tertullo ed Equizio.

L’antica e nobile chiesa abbaziale del “Sanctus Liberator ad Majellam”, esiste ancora! E’ sempre qui a Serramonacesca di Pescara, immersa nel verde e nella quiete della storia, testimone silente del passaggio di Carlo Magno.
Il condottiero se ne volle impossessare dopo la sua vittoria sui Longobardi del 781, nella sconosciuta battaglia di Serra e Manoppello.

Ancora oggi una grotta è chiamata “dei Paladini” o”sepolcro dei Franchi” in ricordo dell’epopea carolingia in Abruzzo.

“Serra Monacorum”, quale nome migliore per evocare il legame di questo pezzo di Maiella con la vita monacale che un tempo esprimeva un tesoro d’arte come l’abbazia di San Liberatore e un paio di eremi abbarbicati tra i monti?

Ogni volta che arrivo in questo piccolo agglomerato di case mi sento libero e felice.
Nell’antica terra dei priori oggi sono circa settecento le anime sparse.
Molte di meno di quelle che hanno varcato i confini, emigrando per il mondo in cerca di fortuna.

Basta venire sin qua una sola volta per rendersi conto del perché tanti stranieri abbiano deciso di acquistare rustici da queste parti per godere di tranquillità.

Serramonacesca è un borgo in pietra, alle pendici settentrionali della Maiella, sopra il frastagliato corso del fiume Alento, in un lembo di territorio pescarese tra i più ricchi di antiche memorie, leggende, e monumenti di rara bellezza artistica.

La storia di questa terra va cercata, scoperta e decifrata, esplorando con pazienza le pieghe della montagna e della memoria.

Tra le rocce e gli arbusti scorre una linfa spirituale che fa di questa valle un luogo sacro da vivere intensamente.

Dal condottiero Carlo Magno, la grande chiesa, immersa tra i boschi, prese il nome di “liberatore”, non inteso come santo comune ma come Divino Liberatore di ogni peccato, il Cristo Risorto.

Nelle vicinanze, fu costruito Castel Menardo, fortino per la guarnigione deputata al controllo della valle del Pescara.

Avvenne anche nella mitica Roncisvalle dei Pirenei, dove Carlo fece edificare, per ringraziamento dopo la vittoria sui Mori, una basilica simile a quella del piccolo borgo pescarese.
Né guerre, né saccheggi, né il terribile terremoto del 990 ha sfibrato i fianchi di questo tempio.

I monaci ricostruirono la basilica, ancora più bella, dimorando, durante i lavori, in povere casupole di legno, sotto l’attenta supervisione prima del priore e architetto Teobaldo, poi del reggente Adenulfo. Prese, infine, il volto attuale di gioiello d’arte romanica cassinese.

Guardare questa chiesa, è come vedere l’impetuoso effetto del passare degli anni sul volto di una donna a suo tempo bella e affascinante, oggi ancora attraente.

Il rettore che abita in paese, officia di domenica messe anche in latino e con massima disponibilità illustra le bellezze del luogo santo.

In una domenica di Pentecoste mi capitò, insieme a una famiglia di Cuneo, di assistere a questa celebrazione.

Ricordo mi colpì l’ottima pronuncia del prelato e i suoi occhi profondi e incavati che cercano prima che la tua intelligenza, il cuore.
C’è anche una dinamica associazione di giovani che offre servizi vari come accompagnamento e organizzazione matrimoni.

La grande chiesa è immersa nel verde.
C’è un singolare campanile in stile lombardo a triplice elevazione con finestre a piano che dona unicità al tutto.
Spingendo in avanti l’antica porta si sprofonda nelle tenebre.

La navata centrale pare imprigionata dapprima nel buio, poi gli occhi si abituano e iniziano a vedere gioielli senza tempo, tracce di affreschi bruniti dai secoli, icone rossastre e oggetti che paiono contendere ad altri le gocce di luce distillate dalle piccole finestre.

Tutto qui ha un suo equilibrio interiore: il sagrato in pietra, le basi sagomate delle colonne, i portali con leoni e foglie di palma scolpiti negli architravi.

Fanno bella mostra di sé, tre navate a pianta basilicale che s’innalzano sopra un pavimento cosmatesco, simile a quello della grande abbazia di Montecassino, composto con pietre intrecciate in disegni geometrici di maestri bizantini e il meraviglioso ambone, oggi non originale, delle proclamazioni bibliche e delle predicazioni.
Gli affreschi raccontano dei patrizi romani, di Carlo Magno, dei priori succedutisi alla guida del complesso e poi di San Benedetto il padre dei monaci, seduto in trono con la regola monastica dell’”Ora et Labora”.

 Meta di monaci e anacoreti che abitavano in celle scavate a grande altezza nelle rocce sospese sul fiume, uomini che inseguivano paesaggi santificati, questo luogo è bellissimo.

Il grande prato verde con annessa area faunistica in cui vive un bel capriolo nato nel 2006, il sentiero didattico che scende verso il fiume Alento con una cascata che romba proprio vicino ai resti di tombe rupestri, tutto invita a rimanere entusiasti.

Monasteri, forti, cimiteri, lazzaretti mangiati dal tempo tra cespugli d’incuria.
Tutto maledettamente bello!

Serramonacesca si raggiunge attraverso la A 25 Pescara Sulmona, uscita Scafa, poi S.S. 539.

Non dimenticate di visitare le tombe rupestri lungo il fiume.
E' un affascinante viaggio nel tempo attraverso la più grande forma di devozione dell'uomo verso il Creatore! 

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