lunedì 24 novembre 2014

Storie di vita lungo la valle sconosciuta del Fino!

Giuseppe lavorava come arrotino.
Girava con la sua mola l’Italia per diversi mesi l’anno.
Poi in estate tornava nella vallata per dare una mano nel periodo della raccolta.
Oggi vive nella campagna tra Montefino e Bisenti.
Il dolore di testa a novanta primavere, non sa cos'è.

Ha soltanto un po’ di tiroide ballerina e la dentiera che fatica a stare al posto suo.
Sul muro, incorniciato, c’è un vecchissimo depliant turistico di un’epoca che non c’è più.
L’invito è singolare:” visitate l’Aeropoli vallata del Fino attraverso il pianoro della città del silenzio”.

Il vecchio mostra una pubblicazione del Touring di oltre cinquanta anni fa, dove si legge: “Scendendo da Bisenti verso Castiglione, sulla sinistra, come nido feudale, le povere case di Montefino…”.
Il tempo pare essersi fermato in questo borgo immerso nel silenzio quasi sacrale, rustico e compatto con le sue case addossate su di una collina di calanchi, in pietra grigia, molte prive d’intonaco, ma comunque affascinanti a vedersi.
Sono aggrappate l’una all'altra e circondate da muraglioni di sostegno.

Bella la storia del nome che dal lusinghiero Montefiore, era passato a un orribile Montesecco, in ossequio al fatto che i calanchi rendevano difficili le colture in mezzo a terre argillose e secche.
Poi, nel 1865, in barba alla fisionomia aspra dei grossi banconi di roccia arenaria sui quali sorge l’abitato, il nome divenne, definitivamente, Montefino
Le vecchie abitazioni, si legge ancora:
“Disegnano contro il cielo, un profilo piuttosto ingrato, ingentilito solo da un campanile quadrato dalla punta assai svelta”.

L’anziano uomo ha un fremito quando mostra la foto della sua Enrichetta.
La donna è partita in cielo, quasi in silenzio, un paio di estati fa.
La foto la ritrae con l’immancabile gonna lunga a fiori con sopra il golfino color del cielo, i capelli raggruppati dietro la nuca con la forcina.

Curava l’orto, rammendava, cucinava manicaretti da Dio e a sera si godeva il tramonto seduta sulla sua amata sedia di vimini.
Per anni la donna ha lavorato alla produzione artigianale dei cesti in vimini.
Nella valle del Fino era una risorsa importante, insieme alla lavorazione dell’uncinetto e del ricamo in stoffa.
Ancora oggi le anziane del paese non hanno nulla da imparare da altre realtà più pubblicizzate come i tomboli di Pescocostanzo e i ricami di Canzano.
Manufatti di alto artigianato ormai introvabili o quasi.

Un'altra attività femminile era l’allevamento del baco da seta.
Una pratica questa che richiedeva manodopera esperta e assiduo lavoro di gruppo.
Tutti ricordano la figura di donna Rachele che, giunta a Montefino per assistere il fratello parroco, si mise all'opera insegnando i dettami di questa difficile arte a tutto il paese.

Scappo alla scoperta di Bisenti.

Nella Bibbia, amici miei, si legge che fu Noè, quello del Diluvio Universale e dell’arca, a inventare il vino e gli piacque a tal punto, che fu protagonista della prima sbronza nella storia dell’uomo.

Vallo a dire agli abitanti di Bisenti.
Da queste parti la produzione del vino Montonico è qualcosa di sacro, sin dai tempi più antichi.

Popolato già in età preromana, questo grande borgo alla destra del corso del fiume Fino, apparteneva nel XII secolo all'abbazia di Montecassino e per anni in questo territorio si sono succeduti gli Sforza, i Fallerio, gli Acquaviva, che hanno contribuito a rendere illustre la storia del paese.
C’è da non perdere l’antica torre medioevale, la splendida Casa Badiale dell’anno del Signore 1474, la Fonte Vecchia, il Loggiato di chiaro impianto medioevale, ma, soprattutto, la stupenda Santa Maria degli Angeli, fastosa basilica con il suo campanile di 40 metri, ricca di affreschi artistici, che custodisce una statua della Madonna, definita dagli esperti uno dei capolavori dell’arte sacra in Italia.
Bisenti ha anche il suo spicchio di mistero e leggenda.
Superato il ponte sul Fino, prima di giungere al centro, 50 metri dopo il bivio per Arsita, è visibile un’antica casa in pietra.

Gli abitanti giurano che quella era l’abitazione di Ponzio Pilato, ricordate il procuratore romano della Giudea, che condannò a morte Gesù e che s’inabissò per fuggire dagli sgherri dell’imperatore Vespasiano nel piccolo lago incastonato nei monti Sibillini?
Verità o leggenda?
Fatto è che in paese un rione è ancora oggi dedicato a Pilato, che nella casa ci sono antichissime cisterne romane con un pozzo che si dice sia collegato tramite una serie di cunicoli alla Fonte Vecchia e che anni addietro qualcuno ha ritrovato antiche monete molto simili ai sesterzi usati dai romani e, dicono, dal centurione amico di Pilato, che trafisse il cuore di Gesù, proveniente da una ricca famiglia di Lanciano.

Resta sempre difficile spiegare perché una valle tra le più affascinanti dell’entroterra teramano come quella solcata dal fiume Fino, sia così trascurata e sconosciuta.
Il fiume omonimo attraversa questo tortuoso pezzo d’Abruzzo, prima di unirsi all’abbraccio gorgogliante delle acque del Tavo.
La natura incontaminata, gli scorci incantevoli, la storia e tradizioni antichissime, le testimonianze di un passato glorioso, sono i valori aggiunti per una terra di colture e di vita contadina, zona di piccole proprietà e di onesto e quotidiano lavoro.
La valle del Fino è un susseguirsi di dolci colline, boschi, campi coltivati, sempre dominati dalla mole possente e aspra ma in qualche modo rassicurante, della dolomia del Gran Sasso.
Ancora oggi questo spicchio di provincia, è un mondo che ispira, spinge a confrontarsi con la grandiosità della natura e a interagire con essa.

Arsita è a pochi chilometri di distanza.
Pare vivere in una sorta di dolce arrendevolezza, popolata da gente tranquilla che sembra aver assimilato dentro la quiete dei vicoli.
La vita qui ha un diverso valore di esistenze urlate e portate oltre ogni limite.

Tutto intorno, le colline sono da quadro impressionista.
Lo scatto dell’amico Sergio Pancaldi, fotografo di razza, rende mirabilmente la dolcezza d’insieme.

Una descrizione del 1889 di Palmiro Premoli, recitava così:
“Le alture appaiono in tutta la loro maestosa imponenza.
A sera, quando l’astro maggiore è sceso dietro agli Abruzzi e sulle cime non isplende più che una fiamma porporina, sembra quasi di vedere i picchi delle rocce fondersi in un mare di fuoco” .

E’ sera, infatti, ed è ora di intrattenerci piacevolmente in gastronomia: maccheroni alla molinara, mazzarelle, tagliatelle e fave, agnello alla brace, contorni di verdure dell’orto.
Che bella la vita!



Come raggiungere la valle:

L'itinerario più panoramico parte dalla stazione climatica e soggiorno estivo al mare Adriatico di Silvi Marina, tra Teramo e Pescara. 
Si attraversa la panoramica strada statale 553 che porta alla città d'arte di Atri. 
Proseguendo lungo la provinciale si giunge a Villa Bozza e poi Castilenti. 
Lungo la S.S. 365 si giunge a Bisenti. 
Poi si prosegue per la testa della valle ad Arsita, dove partono bei sentieri escursionistici. 
Da Bisenti è anche facile raggiungere la valle del Vomano per scoprire Basciano e Penna S.Andrea. 


mercoledì 12 novembre 2014

Il gioiello campestre di Santa Maria de Praedis

Il silenzio è avvolgente.
Il profumo delle colline boscose pare penetrare nei polmoni.

La passeggiata sul Colle Piadino, tra Pantaneto, Colle Caruno, Fonte del Latte, si snoda lungo la strada, ma di auto circolanti neanche l’ombra.

Qui è un susseguirsi di minuscoli agglomerati del suburbio teramano dei quali il più importante è Castagneto, il cui toponimo prometterebbe tanti alberi di castagno che oggi non ci sono più.
La storia ricorda l’avvenimento più importante, in piena dominazione spagnola, sul finire del XVII secolo.
A causa delle ciurmaglie dei briganti celebri come Santuccio da Froscia e Titta Colranieri, il borgo fu bruciato, insieme alla vicina Ioannella, da parte del capitano Gaspare Zunica.

Ho incontrato nel mio cammino solo un trattore con sopra un vecchio che non so perché ha sghignazzato evidentemente divertito, prima di scomparire dai miei occhi col suo cigolante mezzo, antico più del padrone.
Qua e là si aprono, improvvisamente, prati quasi tumefatti dalle ombre del primo pomeriggio e casolari dal tetto fumante.
Poi, in fondo alla valle, lo sguardo s’impossessa di una Teramo un tantino caliginosa mentre, tra un sipario e l’altro di nubi, compare la cresta del Gran Sasso e le montagne suddite intorno a corolla.

Tutto molto bello, tra colli con pochissime fasce di cemento che non inghiottiscono ancora le piccole cascine storiche e i campi coltivati.

A volte capita che il nostro piccolo e caotico mondo si fermi anche per un solo attimo.
È allora che la bellezza si svela e il sacro silenzio ti parla.
Le ginocchia traballano un pochino per la fatica, ma non mollo.


La chiesina campestre di Santa Maria de Praedis non è lontana.
In questi luoghi, che i teramani disertano, c’è più di una chiesa che vale la pena visitare: San Pietro ad Azzano in località Costumi o la famosa San Bartolomeo di Villa Popolo di Torricella.

Distante e di molto dalle grandi vie di traffico, questo luogo sacro di Santa Maria meriterebbe ben altra attenzione, quella che non le dà quasi nessuno.
Eppure possiede valori immensi sia religiosi sia archeologici, storici e perché no, ambientali di alta collina.

All'ultima curva un cane pastore si avvicina a brutto muso e per un attimo temo l’assalto rabbioso. All'improvviso, provvidenziale, si palesa un contadino di alta statura che sta risalendo il piccolo fosso verso il suo casolare.
Sembra Mauro Corona, canotta nera, bandana di ordinanza, capelli grigi che sicuramente cadrebbero sul volto se non fosse che appare incipiente la calvizie.
Dal ciglio della strada urla qualcosa d’incomprensibile ma la bestia pare aver capito perché si allontana subito dalla mia figura.

Ed eccomi finalmente davanti all'oggetto dei miei desideri.

Santa Maria è un piccolo tempio in stile romanico a tre navate, edificato nella notte dei tempi sui resti di una villa romana, dicono, anche se alcuni studiosi ipotizzano che qui ci fosse un sito dedicato alla dea Feronia.

In epoche ancora precedenti pare che l’antico insediamento fosse il “villaggio Praedis”, luogo molto frequentato sin dall'età del ferro.

Come dimenticare che qui furono rivenuti mirabili frammenti di ceramica del tempo dei Pretuzi, travertini o ancora rimasugli di statue romane e anche reperti medievali?
Sono affascinato nel guardare questo piccolo edificio sul ciglio della strada con il suo mini cimitero dall'inferriata del fianco destro.

Ho sempre creduto che l’arte sia l’ombra di Dio sulla terra.
Ricordo che più di una volta il grande e indimenticabile Giammario Sgattoni, mi parlò di quest’antico luogo denominato “Praedis”.
Con la sua voce baritonale e il suo largo sorriso, mi sorprendeva sempre con la sua immensa cultura.
Ora sono qui, ad ammirare questa che è una delle chiese più antiche del teramano, sorta nel secolo X, le cui pietre sembrano provenire dall'antico castello medievale che un tempo dominava la valle sopra Pantaneto!

Immagino cocci e pietrame sconvolti dai vomeri profondi.
Penso con dolore, a cosa possa essere accaduto a tanti reperti, statuine o altro, disseppelliti sui campi dinanzi casa e rivenduti forse per pochi soldi.
Butto l’occhio su alcune tombe del cimitero.

Una di esse ha la croce che ha perso il suo lato destro che penzola arrugginito e scricchiolante al vento.

Ripenso alla frase latina che trovai su di un piccolo cimitero in Alto Adige.
Mi stupii di questa locuzione:
“Hic est locus ubi mors gaudet succurrere vitae”,
che tradotta significa che questo era il luogo dove la morte gode di soccorrere la vita.
Un’amara riflessione sulla caducità delle cose.
Mi pare che fosse mutuata da una lapide sulla porta d’ingresso dell’Ospedale degli Incurabili a Napoli, prima che arrivasse il santo dottor Giuseppe Moscati a portare speranza ai poveri.

Meglio concentrarsi sulla chiesa che ha una storia sontuosa che pare partire dal 1153 quando il vescovo Guido II annesse ai beni teramani la piccola pieve.
Questo tempio ha visto la sua ultima ristrutturazione da parte della Soprintendenza ai Beni Architettonici nel 1977 e oggi si presenta in perfetto ordine.


Castagneto e la piccola chiesa si raggiungono facilmente percorrendo sei chilometri da Teramo attraverso la strada che porta verso Ascoli Piceno e deviando al bivio di Castagneto appena fuori il capoluogo teramano.