mercoledì 12 novembre 2014

Il gioiello campestre di Santa Maria de Praedis

Il silenzio è avvolgente.
Il profumo delle colline boscose pare penetrare nei polmoni.

La passeggiata sul Colle Piadino, tra Pantaneto, Colle Caruno, Fonte del Latte, si snoda lungo la strada, ma di auto circolanti neanche l’ombra.

Qui è un susseguirsi di minuscoli agglomerati del suburbio teramano dei quali il più importante è Castagneto, il cui toponimo prometterebbe tanti alberi di castagno che oggi non ci sono più.
La storia ricorda l’avvenimento più importante, in piena dominazione spagnola, sul finire del XVII secolo.
A causa delle ciurmaglie dei briganti celebri come Santuccio da Froscia e Titta Colranieri, il borgo fu bruciato, insieme alla vicina Ioannella, da parte del capitano Gaspare Zunica.

Ho incontrato nel mio cammino solo un trattore con sopra un vecchio che non so perché ha sghignazzato evidentemente divertito, prima di scomparire dai miei occhi col suo cigolante mezzo, antico più del padrone.
Qua e là si aprono, improvvisamente, prati quasi tumefatti dalle ombre del primo pomeriggio e casolari dal tetto fumante.
Poi, in fondo alla valle, lo sguardo s’impossessa di una Teramo un tantino caliginosa mentre, tra un sipario e l’altro di nubi, compare la cresta del Gran Sasso e le montagne suddite intorno a corolla.

Tutto molto bello, tra colli con pochissime fasce di cemento che non inghiottiscono ancora le piccole cascine storiche e i campi coltivati.

A volte capita che il nostro piccolo e caotico mondo si fermi anche per un solo attimo.
È allora che la bellezza si svela e il sacro silenzio ti parla.
Le ginocchia traballano un pochino per la fatica, ma non mollo.


La chiesina campestre di Santa Maria de Praedis non è lontana.
In questi luoghi, che i teramani disertano, c’è più di una chiesa che vale la pena visitare: San Pietro ad Azzano in località Costumi o la famosa San Bartolomeo di Villa Popolo di Torricella.

Distante e di molto dalle grandi vie di traffico, questo luogo sacro di Santa Maria meriterebbe ben altra attenzione, quella che non le dà quasi nessuno.
Eppure possiede valori immensi sia religiosi sia archeologici, storici e perché no, ambientali di alta collina.

All'ultima curva un cane pastore si avvicina a brutto muso e per un attimo temo l’assalto rabbioso. All'improvviso, provvidenziale, si palesa un contadino di alta statura che sta risalendo il piccolo fosso verso il suo casolare.
Sembra Mauro Corona, canotta nera, bandana di ordinanza, capelli grigi che sicuramente cadrebbero sul volto se non fosse che appare incipiente la calvizie.
Dal ciglio della strada urla qualcosa d’incomprensibile ma la bestia pare aver capito perché si allontana subito dalla mia figura.

Ed eccomi finalmente davanti all'oggetto dei miei desideri.

Santa Maria è un piccolo tempio in stile romanico a tre navate, edificato nella notte dei tempi sui resti di una villa romana, dicono, anche se alcuni studiosi ipotizzano che qui ci fosse un sito dedicato alla dea Feronia.

In epoche ancora precedenti pare che l’antico insediamento fosse il “villaggio Praedis”, luogo molto frequentato sin dall'età del ferro.

Come dimenticare che qui furono rivenuti mirabili frammenti di ceramica del tempo dei Pretuzi, travertini o ancora rimasugli di statue romane e anche reperti medievali?
Sono affascinato nel guardare questo piccolo edificio sul ciglio della strada con il suo mini cimitero dall'inferriata del fianco destro.

Ho sempre creduto che l’arte sia l’ombra di Dio sulla terra.
Ricordo che più di una volta il grande e indimenticabile Giammario Sgattoni, mi parlò di quest’antico luogo denominato “Praedis”.
Con la sua voce baritonale e il suo largo sorriso, mi sorprendeva sempre con la sua immensa cultura.
Ora sono qui, ad ammirare questa che è una delle chiese più antiche del teramano, sorta nel secolo X, le cui pietre sembrano provenire dall'antico castello medievale che un tempo dominava la valle sopra Pantaneto!

Immagino cocci e pietrame sconvolti dai vomeri profondi.
Penso con dolore, a cosa possa essere accaduto a tanti reperti, statuine o altro, disseppelliti sui campi dinanzi casa e rivenduti forse per pochi soldi.
Butto l’occhio su alcune tombe del cimitero.

Una di esse ha la croce che ha perso il suo lato destro che penzola arrugginito e scricchiolante al vento.

Ripenso alla frase latina che trovai su di un piccolo cimitero in Alto Adige.
Mi stupii di questa locuzione:
“Hic est locus ubi mors gaudet succurrere vitae”,
che tradotta significa che questo era il luogo dove la morte gode di soccorrere la vita.
Un’amara riflessione sulla caducità delle cose.
Mi pare che fosse mutuata da una lapide sulla porta d’ingresso dell’Ospedale degli Incurabili a Napoli, prima che arrivasse il santo dottor Giuseppe Moscati a portare speranza ai poveri.

Meglio concentrarsi sulla chiesa che ha una storia sontuosa che pare partire dal 1153 quando il vescovo Guido II annesse ai beni teramani la piccola pieve.
Questo tempio ha visto la sua ultima ristrutturazione da parte della Soprintendenza ai Beni Architettonici nel 1977 e oggi si presenta in perfetto ordine.


Castagneto e la piccola chiesa si raggiungono facilmente percorrendo sei chilometri da Teramo attraverso la strada che porta verso Ascoli Piceno e deviando al bivio di Castagneto appena fuori il capoluogo teramano.


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