Tratto dal libro "Kalipè, il mio passo libero"
Il sole stava diventando nuovamente un ricordo rosso oltre il bordo della montagna, sfumando nel blu cobalto di una sera da copione cinematografico.
Era un’intensità cromatica che bucava il cuore.
La piana del fiume Tirino sembrava uscita fuori da una storia della Terra di Mezzo.
Passava con disinvoltura dalla commedia al dramma con continui cambi di fondale. L’aria era fresca, refoli di vento invitavano a tirar su il bavero della giacca di pile.
La pioggia continua dei giorni scorsi aveva reso tutto terso e in lontananza un bel campionario di tuoni, portava con se un nucleo di nubi gravide ancora di acqua. Le piccole pozzanghere, rimaste a terra, parevano monete lucide appoggiate al suolo.
Lo zaino risultava terribilmente pesante e quasi mi faceva sprofondare le pedule nel terreno reso morbido dalle precipitazioni.
Mi venne da pensare, mentre arrancavo sotto il peso, che ogni uomo si trascina dietro le spalle, inconsapevolmente, un sacco bucato.
Il fardello diventa più pesante a mano a mano che il contenuto si disperde lungo il cammino. Poi, un giorno ci si accorge che il sacco è rimasto vuoto e la vita è miseramente passata senza che tu te ne sia accorto.
Finalmente aggirata la collina, in lontananza apparve il convento francescano di San Giovanni a Capestrano. Dalla piana di Navelli la camminata era stata davvero lunga. Pensavo di cavarmela con meno fatica.
Ero a una quarantina di chilometri da Aquila, in un posto reso celebre dalla necropoli dove si rinvenne il “guerriero di Capestrano”, armato, rigidamente eretto e sostenuto da due pilastri con un grande copricapo a forma di scudo sulla testa.
Da visitare c’è l’affascinante Castello medioevale dei Piccolomini, nella parte alta del borgo antico, con tanto di torri quadrate e fossati anti nemici per fare un prodigioso tuffo nel passato. Perché, tutto a Capestrano parla di storia.
Il borgo sorge a guardia della valle con le case accastellate per difendersi dalle incursioni nemiche.
A pochi chilometri dall’abitato, sul bordo del pescoso Tirino, c’è anche un meraviglioso monastero, San Pietro ad Oratorium, perso in un ameno boschetto sul greto del fiume. Fu fondato dai Benedettini nel 752, realizzato in stile romanico con interno a tre navate, impreziosito da affreschi di stile bizantino.
Per fortuna anche quella notte, come Dio voleva, l’avrei trascorsa al coperto. Sognavo di poter trascorrere nuovamente delle ore indimenticabili in compagnia del Signore, così come mi era accaduto al convento de La Verna.
In breve arrivai davanti al portone del convento. Vidi una scritta su tavola di legno:
“Coloro che sono chiamati alla mensa del Signore, devono brillare di purezza con l’esemplare condotta di una vita moralmente lodevole, e rimuovere ogni sozzura o immondezza di vizi.
Vivano per sé e per gli altri in modo dignitoso, come sale della terra. Splendano per un grande spirito di sapienza e con questo illuminino il mondo. Coloro che fanno parte del clero e danno cattivo esempio per i loro pessimi costumi, per i vizi e i peccati, sono degni disprezzo e di essere considerati come fango spregevole. Non sono più utili né a sé, né agli altri."
Scriveva queste righe sante nel trattato “Lo specchio dei chierici” il sacerdote Giovanni, discepolo di San Bernardino da Siena e soprattutto di San Francesco d’Assisi, prima di diventare il grande santo di Capestrano.
Definire la vita di San Giovanni da Capestrano avventurosa è usare un eufemismo.
Il sacerdote prima d’intraprendere un' instancabile attività apostolica in tutta l’Europa, per rinnovare i costumi dei cristiani e combattere l’eresia, fu insignito dal Re Ladislao di Napoli della carica di primo ministro di Stato. In qualità di luogotenente del governatore di Perugia si interpose per sedare la guerra tra i Perugini e i Malatesta; fu da questi ultimi fatto prigioniero e condotto nella torre del castello di Brufa.
Mentre era incatenato prese la decisione di indossare il saio.
Da sacerdote e predicatore, non si concedeva un momento di tregua portando il vangelo in tutta l'Europa. Nel 1417 andò alla scuola di San Bernardino da Siena. Nel 1427 il papa Martino V gli affidò il mandato di porre fine alla setta eretica dei fraticelli e più tardi Eugenio IV lo mandò inquisitore contro gli ebrei e i saraceni dimoranti in Italia. Perfino Federico III di Germania chiese l'intervento del Santo per pacificare le sue terre.
Era il 1456 quando Callisto III gli affidò la crociata contro i Turchi nello stretto del Bosforo. Giovanni partecipò alla difesa della fortezza di Belgrado comandando l'ala sinistra dello schieramento. Il 23 ottobre dello stesso anno si ammalo di peste e morì in Ungheria.
Il convento di San Giovanni, nel bellissimo paese aquilano di Capestrano, è un posto splendido dove poter vivere momenti di riflessione e preghiera comunitaria, dato l’enorme spazio a disposizione. E’ sorprendente osservare la folla dei devoti recarsi in visita ai santuari, divenuti centri di spiritualità e segno del bisogno umano di recuperare il contatto personale con l’Essere Supremo.
Sono molti i luoghi d’Abruzzo dove ogni piccola voce, dal canto di un usignolo al fruscio del vento, leggera sale al cielo come offerta al Creatore del palpito del cuore di ogni creatura.
Questo è uno di quei posti.
Sorto nel XV° secolo, conserva alcuni dei suoi scritti datati 1400. Fu uno dei quattordici conventi che, prima di morire, San Giovanni fece erigere. Come sito, per la costruzione, nel 1447 fu scelta la località dov'era il vecchio castello costruito dal re Desiderio.
La donazione del terreno fu opera della contessa Corbella, pia donna, moglie dell’allora Signore di Celano e Gagliano Aterno, il Conte Leonello De Acclozamora.
La storia della nascita del convento è velata di mistero.
Quella sera me la raccontò un novizio davanti a un bel piatto di pasta al pomodoro. Sembra che Giovanni ebbe una visione: uno stormo di colombi lo assalì durante uno dei suoi viaggi evangelizzatori. Cercava di allontanare gli uccelli che, incuranti del mulinare delle braccia, gli impedivano il cammino.
Di colpo, una voce gli ordinò di distruggere la “colombaia” e costruirci un luogo santo.
“La colombaia” altro non era che il ritrovo di questi volatili che si erano accasati sul posto dove Desiderio, re dei Longobardi, aveva costruito il suo fortino.
Così avvenne e il convento venne edificato.
Nel corso dei secoli questa struttura ha subito varie trasformazioni, oggi si presenta in stile barocco.
Gli occhi rimasero sorpresi nel chiostro che conservava in gran parte l’originale fattura. Rimasi rapito a pensare quanta santità si fosse avvicendata in quel posto. Il manufatto seicentesco si presentò con un meraviglioso porticato e le sue otto belle lunette affrescate raffiguranti episodi della vita di San Giovanni, e al centro una cisterna imponente del 1774.
Nella chiesa, ad unica navata, vidi un bellissimo altare dedicato al Santo con la statua realizzata dai ceramisti di Bussi nel 1700.
Il tempio, dedicato a San Francesco d’Assisi, aveva subito l’ultima trasformazione nel 1924, quando Padre Colombo Cordeschi volle restaurare anche l’imponente scalinata dell’interno del convento risalente al 1750.
La “Regia Biblioteca”, scrigno degli antichi codici e custode della Bibbia su cui usava pregare e studiare il Santo, non viene aperta mai a nessuno, purtroppo.
Quella sera io divenni uno dei pochi che ha avuto la fortuna di poter ammirare i codici miniati e le lettere del santo gelosamente custodite.
Nel 1984 Giovanni Paolo II nominò San Giovanni, Patrono dei cappellani militari di tutto il mondo e da secoli, il settecentesco busto argenteo del santo viene portato in processione per le vie del paese il 23 ottobre, giorno che ricorda la sua morte.
Amo soggiornare nei monasteri.
Sono la custodia del tempo fuori dal tempo!
La vita monastica, scriveva Grun, monaco autore di testi sacri, è la scheggia del tempo che si è fermato. Chi vive nei monasteri vive nell’eternità, a contatto privilegiato con Dio, immerso nel silenzio che apre la porta alla ricerca del Divino. Chi sosta temporaneamente, riesce a vivere attimi di pace e a viaggiare interiormente nella quiete.
Quando varchi il portone d’ingresso lasci fuori le ansie. Mi è accaduto anche visitando numerosi monasteri, dal benedettino Sacro Speco di Subiaco, alla poderosa Casamari nel profondo Lazio, dalla certosina Trisulti, sotto i monti Ernici, ai conventi francescani della Valle Reatina. Spesso le foreste completano il cuore spirituale del luogo sacro. Nei monasteri si riesce a equilibrare gli opposti: il rapporto con Dio e quello con gli uomini, l’eremitaggio e la vita comune, la parola e il silenzio, la fede e la laicità, le donne e gli uomini.
Non bisogna mai alzarsi dal letto al mattino senza ringraziare per il nuovo giorno. Qualcuno ce l’ha donato, questo è certo!
Mi hanno insegnato che occorre avere sempre gli occhi ben spalancati sul mondo come carta assorbente e che nella vita c’è bisogno di ridere con grasse risate, piene, pulite e senza pentimenti.
Ringraziare, parola d’ordine, chi ci dà la vita! E si ringrazia anche stando contenti.
Né dovremmo cercare, sollevandoci dal riposo, di fingere ciò che non siamo.
Per far questo dobbiamo essere in pace con noi stessi e con gli altri. Per esserlo dobbiamo realizzare che la felicità degli esseri che ci circondano è diversa per ognuno di essi.
Questo è il credo del mio caro amico Mauro.
Occhiali poggiati sul naso, eternamente col sigaro spento in bocca, è un ateo convinto eppure è molto più cristiano di tanti altri. Lui è alla sequela di Gesù senza saperlo!
Non l’ho visto mai una volta triste. Eternamente sorridente, amabile come pochi. Parla il necessario, ma quando lo fa, riesce a dire più di quanto facciano altri in un’intera settimana. Tipo incredibilmente calmo, serafico, roba da invidia per ipertesi come chi vi scrive. La sua figura riempie tutto lo spazio e non soltanto per le sue dimensioni generose, ma per la tranquillità che diffonde.
Un uomo in pace con l’Universo, il buon Mauro. Fotografo finissimo, ama scattare istantanee ai paesaggi. Questo ce l’abbiamo in comune come uguale è, in vacanza, abbandonare presto la polvere dei musei e delle bancarelle di souvenir per imboccare sentieri nei boschi. Non è un gran camminatore ma per scovare posti idilliaci, si sacrifica volentieri.
Lo stavo pensando intensamente ora che dalla collina sopra il convento di Capestrano mi godevo il cielo rosa di quella bella alba dorata.
La sua maestria nelle foto avrebbe sicuramente immortalato degnamente quel momento magico!
Mi venne da pregare:
“O Santo Francesco tu che tanto hai amato la creazione e il suo Creatore, aiutami a proteggere la natura, ad amarla e a sentirla casa comune con tutti i fratelli soprattutto con coloro che soffrono”.
“Ho fatto la mia parte, possa Cristo insegnarvi a fare la vostra”.
(San Francesco ai confratelli prima di essere condotto in cielo da sorella Morte)
ARRIVARE:
Da Nord e da Sud
Prendere l'autostrada A14 (da nord: in direzione di Ancona; da sud: in direzione Pescara), seguire la direzione Roma, continuare sull'autostrada A 25, uscire a Bussi/Popoli, seguire le indicazioni per L'Aquila, continuare sulla SS 5, prendere la SS 153 fino a Capestrano.
Da L'Aquila
Percorrere la SS 17 direzione Pescara, proseguire sulla SS 153 in direzione Capestrano.
DA VEDERE:
Siamo ai confini del parco Nazionale del Gran Sasso, comunità montana Campo Imperatore- Piana Navelli!
Oltre all'affascinante Castello dei Piccolomini d'Aragona e al Convento, consiglio la chiesa romanica di San Pietro ad Oratorium, otto chilometri dal paese, in prossimità del fiume, con zona picnic. In centro da vedere la chiesa di Santa Maria della Pace e i palazzi Cataldi, Capponi, Trecca.
Luogo ricco di aree archeologiche, ricordate che il famoso "Guerriero" rinvenuto nella necropoli e raffigurante una potente classe di pastori armati nell'età del Ferro,, non è presente a Capestrano che in una pessima copia. L'originale si trova al museo archeologico di Chieti.
Per mangiare poi, ovunque si trovano chitarrine deliziose al sugo di gamberi del fiume Tirino e dolci con ottime mandorle locali.
Vicino si trovano diverse interessanti località:
Navelli a circa 10 chilometri con i prati dello zafferano, Castel del Monte, luogo di villeggiatura a 12 chilometri, Calascio con la rocca quattrocentesca. .
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