giovedì 7 marzo 2013

Sul colle di Montesanto tra Salinello e Vibrata

La strada nel mattino d’inverno, appare come tagliata in colori netti e lavata nell’aria luminosa.
Lontani, dei nuvoloni lunghi come sgombri provano a coprire il sole.

Un’arietta niente male scende dalle vicine montagne gemelle.



Nelle case, giù fino a Villa Lempa, i fuochi scoppiettano vivaci nei camini.

La salita a piedi sulla piccola collina di Montesanto è tra foglie bruciate nel vento.
Pare di essersi infilati nel mondo del silenzio.

Il luogo, sulla sommità, è come un riverbero di pulito, nella sua semplicità pieno di bellezze nuove.

Davanti si apre alla vista l’immane sperone di roccia su cui poggia, come trasportato dal vento, la sagoma scura della fortezza borbonica di Civitella del Tronto.

Nelle rade nebbie che scendono a valle e fino al Colle del Piano Ischia, pare un’astronave a filo di nubi.
Era proprio qui il mitico confine tra il Regno delle Due Sicilie e lo Stato pontificio.

Qui doveva esserci una fortificazione di tutto rispetto con torrioni e mura resistenti, addirittura un castello tra il 1000 e il 1100.

La chiesa di Santa Maria e il suo monastero benedettino costruito pare dallo stesso santo, appare all’improvviso in tutta la magnificenza del restauro di anni fa, preceduto dal piccolo boschetto che scende a fine collina e da un grazioso cimitero.

Un edificio medievale a navata unica che cela una storia infinita, in gran parte delineata grazie a degli scavi del 1992 della Soprintendenza Archeologica.

Allora tornarono in evidenza i resti di una chiesa che doveva servire un insediamento longobardo e, precedentemente, un tempio dell’Età del Ferro.
Il rinvenimento di tanti oggetti e pietre fece gridare a una sorta di miracolo del tempo.

Fuoriuscirono alla luce anche molti reperti romani e non poteva essere altrimenti dato che passava qui la Interamnia- Ausculum, con il fiume Salinello che, dalle gole di Macchia scorreva poco in là, dividendo il pretuzio dal piceno.

Ci si può chiedere perché l’antico monastero sia stato da sempre annesso al vescovado ascolano e non a quello teramano.

La “colpa” fu dell’imperatore Lotario III che nel 1137, donò il bene al vescovo di Ascoli.

Eppure questo luogo sacro aveva dipendenze teramane ovunque: i S.S. Mariano e Giacomo della minuscola Nocella a Campli, Santa Maria di Castiglione Messer Raimondo, Sant’Angelo nel vicino centro di Sant’Egidio alla Vibrata, San Pietro a Ripe, perfino la mitica grotta di San Michele Arcangelo nelle gole dei Gemelli.

E poi giù fino ad arrivare al mare di Alba Adriatica con Santa Maria di Ripoli e, scavalcando i monti della Laga, a Valle Castellana con San Sisto.


Nessun commento:

Posta un commento