Alvarez de Toledo e Parafan de Ribera, Viceré spagnoli del Regno di Napoli, sognavano da tempo di realizzare uno dei più grandi sistemi difensivi della costa.
La seconda metà del XVI secolo era funestata da miriadi di devastanti incursioni turche che si concentravano proprio nel tratto di costa oggi abruzzese.
Nacque così un reticolo di torri di avvistamento distribuite lungo il perimetro costiero del Regno, ognuno in vista dell’altro, in una sorta di “fratellanza” di pietra, da Martinsicuro a Vasto.
Questo si rivelò come una grande intuizione e le torri svolsero per molti anni la duplice funzione sia di respingere il nemico e sia di avvertire, con spari e con altri mezzi rudimentali, le popolazioni dell'interno.
Buona parte delle torri abruzzesi fu costruita da Vincenzo Tavoldi, un bergamasco che con il fratello si stava occupando delle fortificazioni di Pescara e Civitella, che nel 1568 si aggiudicò l'appalto per otto di tali edifici, impegnandosi a finirli entro diciotto mesi.
Sulle ultime torri, la “Mucchia” di Ortona e su quella a guardia del porto vastese, nel capo di Punta Penna, non lontano dall’oasi protetta di Punta Aderci, i nobili fecero apporre il “Crux et Ignis”.
Era questo lo stemma del ferro e fuoco raccolto dalle labbra del frate eremita, San Celestino V. Il famoso Papa per “virtude” e non “viltade”, come sosteneva Dante nel canto dell’Inferno, fece il gran rifiuto.
Quel percorso di fede e virtù che evidenziava il cammino celestiniano, tra Spirito Santo e fuoco dell’Amore, era divenuto per mano dei boriosi signori il segno della distruzione per chi osava mettersi contro.
Storia vecchia come il mondo.
Erano i tempi in cui l’Adriatico forgiava i cuori degli uomini assegnando loro un destino impossibile da cambiare.
Le torri, insostituibili sentinelle solitarie, ancora appaiono oggi, all’improvviso sulla strada e sembrano raccontare leggende perse nella notte dei tempi.
Ne contiamo circa diciotto, tutte di epoca medioevale, con le quali in quei tempi bui, si cercò di porre un argine alle continue scorrerie di turchi e saraceni, seguendo un piano unitario e organico di difesa.
Certo, la modernità non ha trovato il cancello chiuso e questi antichi manufatti sono cambiati rispetto ai tempi originali, se si eccettua la “Torre del Vibrata” nei pressi di Alba Adriatica.
Alcuni di questi torrioni d’avvistamento sono scomparsi, come ad esempio, quello di Giulianova sulla sinistra delle rive del fiume Tordino, distrutto nell’ottocento da una piena terribile delle acque, o quello di Roseto degli Abruzzi denominato “del Vomano”eretto nel 1568.
Oggi è noto solo in antichi documenti storici.
Il manufatto fu abbattuto, come accade per le cose belle di questa città che tutto distrugge, per far posto al solito devastante palazzone.
Si gira lo sguardo intorno, a trecentosessanta gradi, ed eccolo ancora lì intatto il fascino selvaggio di queste sentinelle che appaiono ancora indomabili nonostante l’abbandono.
Guardarle è come tuffarsi nella magica atmosfera di un mondo incantato fatto di realtà e fantasia.
Sembrano sculture scaturite dall’estro guerriero, concrezioni dettate dalla natura ribelle.
La più importante delle torri, di certo la più conosciuta, è isolata sullo splendido tratto di spiaggia fra Silvi e Pineto che attende ancora la definitiva consacrazione a oasi protetta.
E la famosa “Torre del Cerrano”.
Insiste proprio sul territorio nel quale sorgeva il porto Cerrano-Matrinus del periodo romano, I e II sec. d.C, di vitale importanza per i commerci e le guerre dei Romani.
Era lo scalo della famosa Hatria, riferimento insostituibile della successiva politica espansionistica mercantile della Repubblica della Serenissima a Venezia.
La torre è ben inserita in un habitat meraviglioso, direi magico, tra pini e mare, connubio ideale tra natura e arte dell’uomo.
Molto dell’antico manufatto è mutato.
Sulla originaria torre a tronco di piramide, con base quadrata e apparato a sporgere su robusti beccatelli con tre caditoie per lato, fu innestata, all’inizio del XX secolo, un secondo livello, molto riconoscibile, costituito da una torretta quadrata coronata da piccoli merli.
In quel frangente molto mutò, anche con scadimento della qualità architettonica, negli interni dell’antico manufatto, tra improvvide scale, tremende finestre a oblò tipo sommergibile (sic!).
Lo sconvolgimento continuò negli anni ’80, per adibire la torre a Laboratorio Biologico marino.
Oggi grazie all'oasi protetta del Cerrano si ha la possibilità di visitarla all'interno.
Di certo è andata peggio ad altre strutture come quella del “Vibrata” del 1568, che ha subito una sorta di interramento nel corso del tempo.
Si trova in Alba Adriatica via Cavour.
La torre si presenta come una costruzione tutta in mattoni, molta tozza, presidiata.
Oggi è inutilizzata, fino a poco tempo fa era adibita a pollaio con tanto di bruttissimi cassonetti dell’immondizia accanto.
Sorte simile è toccata alla “Torre di Salinello”, in via Galilei 327 un paio di chilometri dal centro di Giulianova Lido.
Oggi in disuso, il manufatto ha ricordato anche l’onta dell’improprio utilizzo di cantina.
La “Torre di Martinsicuro”, località Colonnella, meglio conosciuta come la torre di Carlo V, visibile prima del ponte sul fiume Tronto, oggi ha un utilizzo di servizio al museo "Antiquarium".
Fu progettata dal valenciano Pirro Luis Escribà, capitano e grande architetto militare che contribuì all’edificazione del Forte Spagnolo della città aquilana.
A dispetto della giovane età, Martinsicuro è comune da 1963, il paese vanta origini antichissime, come villaggio dell’età del Bronzo e del Ferro e custodisce i resti di Truentum Castrum Truentinum città fondata dai Liburni come testimonia Plinio il Vecchio.
A Martinsicuro sono passati grandi condottieri come Giulio Cesare, Annibale, oltre al mitico Federico II e Vittorio Emanuele.
La torre esisteva probabilmente da secoli precedenti, ma ebbe un rifacimento radicale nella prima metà del cinquecento dal maestro Portolano d'Abruzzo Martolino di Segura, per volontà di Carlo V.
Oggi la costruzione è in buone condizioni e a lato si trova l'interessante museo di cui si parlava poche righe prima.
L’Antiquarium Castrum Truentinum, il Museo della città di Martinsicuro con sede presso i cinquecenteschi Torrione di Carlo V e Casa Doganale, raccoglie i reperti archeologici rinvenuti nell'area Colle Marzio durante una pluriennale attività di scavi diretti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Abruzzo.
Gli scavi, iniziati nel 1991, hanno portato al rinvenimento di uno dei più antichi insediamenti dell'intera vallata del Tronto, la città romana di Catrum Truentinum.
Gli scavi archeologici hanno portato alla luce reperti riferibili ad epoche protostoriche, databili tra la Tarda Età del Bronzo e la prima Età del Ferro.
Nell'Antiquarium è allestita una tomba Longobarda con i reperti datati VI-VII sec. d.C., rinvenuti presso l'area del fiume Tronto proprio a Martinsicuro.
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