Il cielo azzurro è striato da vapori bianchi.
Se non avete mai giocato con la forma delle nuvole, allora non siete mai stati bambini.
Io ci gioco anche da adulto.
Il passaggio delle nubi dona libertà alla mente, ai pensieri fragili ma lucidi, sottili come lame, ai pensieri scarnificati, sfrondati dell’inutilità delle cose.
La vallata del fiume Nora, alla confluenza con il Rio de Vito in territorio pescarese, al margine orientale del massiccio del Gran Sasso e a poca distanza dall’immensa piana del Voltigno, luogo ideale di pascolo, è quanto di più verde e boscoso si possa immaginare.
Eppure ogni volta che ci arrivo mi sento turbato.
Qui c’era una meravigliosa abbazia che per colpa di alcuni empi e dissoluti dagli atteggiamenti morali impuri, non riuscì a dare alla vallata un segno più profondo dell’esistenza di Dio.
Lo stemma di Carpineto con i tre alberi sormontati da un alto monte è il giusto biglietto da visita per un paese che, un tempo, sorgeva nel mezzo di un bosco di carpini.
La foresta intorno era così importante che nello stemma del comune e nella pietra bianca esagonale che fa da piedistallo al battistero della chiesa parrocchiale di San Rocco e Agata, trova posto un albero scolpito tra il Vangelo e l’aquila.
Il convento fortificato di San Bartolomeo rappresenta di per sé un valido motivo per arrivare fin qui.
A sorprendere il turista c’è anche uno splendido borgo dalla caratteristica architettura in pietra e altri piccoli villaggi completamente o quasi abbandonati, rimasti per gran parte intatti nel tempo.
Vicoli, ad esempio, é un minuscolo nucleo di case, antico insediamento romano a quasi mille metri di altezza, a strapiombo sul fiume Nora con angoli di gran fascino e i ruderi di un castello diroccato che
domina il borgo silenzioso.
Tornando a San Bartolomeo, la badia si trova a circa tre chilometri da Carpineto su di uno sperone roccioso al centro di un imponente anfiteatro di montagne.
Il 25 agosto, nella festa dedicata al santo, si svolge una bella processione dal paese all’abbazia attraverso un percorso naturalistico notevole.
Sembra che l’insigne abbazia benedettina, sorta nel decimo secolo, fosse stata costruita dal Conte di Penne, Bernardo che, ammalatosi gravemente, pensò di ingraziarsi Dio iniziando la costruzione nell’anno 962 di questo tempio da edificare a gloria del suo nome.
Il luogo sacro fu anche fortificato con poderose muraglie a sfidare gli elementi della natura.
Oggi non resta nulla delle antiche colonne.
Il complesso divenne famoso e fu arricchito da una reliquia importante: l’omero del braccio destro di San Bartolomeo le cui spoglie erano state trasferite dalle isole Lipari a Benevento.
Seguirono anni di grande prosperità per questo scrigno di arte e cultura che influenzò tutti i centri della valle tra cui la fiorente Brittoli e l’antico centro degli Equi, Civitaquana.
Furono memorabili le vicende raccontate da un monaco, Alessandro, che sotto il pontificato di Celestino III, scrisse le sue “Cronache” su grandi personaggi dell’epoca e le loro nefande vicende di guerra in Terra Santa.
Era il Marco Travaglio dell’epoca!
Gli scritti probabilmente, insieme a fenomeni di eresia “gnostica” di alcuni che esaltavano la supremazia dell’intelligenza al di sopra del divino, decretarono la fine di questo baluardo di civiltà.
L’annessione alla grande abbazia di Civitella Casanova, con più di cinquecento monaci in stretta dipendenza dei religiosi casauriensi, nel 1258, fece perdere a San Bartolomeo la propria autonomia,
decretando il progressivo declino.
Il monastero ospitò per diversi anni il monaco Erimondo, grande miniatore i cui codici sono noti a tutti gli studiosi. Nel centro di arte e cultura visse anche Marcantonio Casanova, abate che realizzò epigrammi contenenti aspre critiche al papa Clemente VII.
Il pontefice, dopo averlo conosciuto, rimase così colpito dalla sua inquietante personalità da perdonarlo per averlo deriso.
Incontro qui il mio amico Armando Florio.
È un uomo innamorato di questo luogo sacro.
Quando penso a lui penso ad un grillo di un’energia irrefrenabile che a volte gli fa mangiare anche le parole.
Ha un sorriso dolcissimo e lo sguardo, dietro all’occhiale, spesso brilla.
Mi apre con gioia la sua casa.
Mi regala anche un bellissimo libro sull’abbazia.
Insieme poi andiamo a visitare il gioiello senza tempo.
La chiesa, dopo i recenti restauri, si presenta in ottimo stato.
È una costruzione semplice e austera, realizzata con blocchi di pietra locale.
Ricorda Santa Maria d’Arabona.
Sono subito colpito dall’armonia visiva trasmessa dall’abside rettangolare con lo splendido rosone, vengo anche accolto da un portale in pietra di rara bellezza scolpito riccamente con animali, tralci e foglie d’acanto intrecciate.
L’interno è maestoso e inquietante nella sua semplice bellezza, a tre navate separate da archi a tutto sesto.
Mi piace la scultura di una mucca in pietra che allatta il suo vitellino.
Un altare, apparentemente spoglio, a uno sguardo attento mostra originali piccole colonne scolpite finemente con teste di animali.
Ovunque si notano figure di uccelli, quadrupedi e mostri dalle curiose forme.
Troneggia anche la figura dell’Agnello con la croce.
Non perdere la cripta, ammonisce l’amico, conducendomi attraverso uno stretto corridoio.
Chi ha buone gambe, dopo aver ammirato questo capolavoro di arte sacra, potrà salire come faccio io verso il monte Fiore, balcone privilegiato sulla valle del fiume Nora, il Gran Sasso e la piana del Voltigno.
L’ascesa è agevole.
Il saliscendi non è complicato, il piccolo labirinto di strade sterrate non crea grossi problemi.
In cima la vista ripaga dello sforzo.
Tra un sipario e l’altro di nubi compare la cresta di montagne millenarie.
Le pietre lontane, appese a precipizi sembrano parlare.
Decido di accettare l’ospitalità di Armando.
Domani sul presto visiterò il borgo in pietra semi abbandonato di Corvara.
Mi arrampico in cima al passo.
Le curve tortuose mi entrano nella mente.
I due centauri, che sfrecciano a lato della mia auto, mi fanno pensare a “Easy Rider” film manifesto della controcultura americana.
Si srotolano davanti agli occhi le immagini dell’inizio della pellicola: i motori accesi, Peter Fonda che getta a terra l’orologio, lancia lo sguardo a Dennis Hopper e, via, verso l’infinito.
“Fa correre il motore a testa bassa, cerca l’avventura, cattura il mondo in un abbraccio d’amore”.
Che bella “Born to be wild” degli Steppenwolf!
Credevate non l’avessi dentro il porta cd?
È un magico inno al viaggio come ricerca della libertà!
Ora, lasciatemi cantare!
Attraverso una “compilation” infinita di tonalità grigiastre, mischiate al verde e al marrone.
Scorgo il bianco e nero juventino delle pecore e dei cani pastori che vagano come anime abbandonate.
Spesso vedo grandi fenditure marrone scuro nelle rocce e drammatiche pareti verticali.
I colori sono così vivi che sembrano ritoccati.
Chissà perché la mente mi porta all’opera di Munch, il maestro espressionista con il suo capolavoro de “L’urlo”.
Forse perché qui ci sarebbe davvero da urlare un evviva al Creatore.
Tutti noi creiamo un quadro della nostra vita, vorremmo che le cose si adattassero perfettamente ai nostri desideri.
Poi, ogni mattina controlliamo che il nostro quadretto sia uguale al giorno prima e lottiamo tutte le ore perché nessuno ci dia una pennellata non prevista.
********************
Raggiungere Carpineto e la badia attraverso A14, poi direzione Pescara Ovest/ Chieti, A24 per L'Aquila, A25 per Roma, S.S.81 direzione Penne, svoltare S.S602 e percorrerla fino allo svincolo per Carpineto della Nora (S.P.33).
Da Pescara percorrere la S.S.16 direzione Chieti, poi indicazioni per Penne, Cepagatti e svincolo per Carpineto.
Nessun commento:
Posta un commento