Foto di Alessandro de Ruvo.
Anche il cristianesimo conosce più di una rotta sacra, dalla via Francigena, che dall’Europa porta alla tomba di San Pietro a Roma, alle vie orientali che portano al Santo Sepolcro di Gerusalemme, fino al Cammino di Santiago a Compostela nel “campo delle stelle”.
Forse mi sto chiedendo, dove porta questo mio peregrinare e perché.
Massimo è un tiranno.
Ha già deciso che non ci saranno soste prima del pasto frugale del mezzogiorno.
Mi dice, sorridendo, che questa prima tappa è come il prologo del Giro d’Italia: escursione breve giusto per sgranchire le gambe e prepararle al lungo trekking.
Ho lasciato moglie e figlia, ho fissato un appuntamento tra non meno di quindici giorni.
Il tempo scorre, invecchio a vista d’occhio e ogni anno ho paura di non poter reggere il ritmo di più giorni in marcia.
Nell’antica Grecia “chronos” era il tempo cronologico, appunto, quello che oggi è regolato dagli orologi.
Il “kairos” era, invece, il tempo nel suo contenuto di azioni umane, di vicende, di eventi che mutano il corso della storia di tutti i giorni.
San Paolo nella prima lettera ai Corinzi, lo sente breve nella sua visione caduca della vita, di certo lo è, se è vero che mi ritrovo a oltre cinquant’anni a chiedermi dove sono stato in tutto quest’arco di tempo.
Mi sento come quando si ripiegano le vele di una nave che ha finito la sua corsa e magari è pronta per essere sostituita da una imbarcazione più moderna.
Non è pessimismo quello che sto scrivendo, è avvertenza per chi si fa sfuggire il suo tempo senza reagire alle emozioni che bussano alla porta dell’animo.
Ecco perché vorrei coinvolgervi in questo viaggio sensazionale attraverso la nostra meravigliosa terra.
Ora che la gioventù è definitivamente andata, la montagna a volte pare più lontana, quasi irraggiungibile.
A casa mi capita spesso di guardare i volti delle persone care e anche il mio e ritrovarmi ad avere nostalgia del vento che penetra nel tronco cavo di un albero scricchiolante in un lamento vagamente musicale. Vorrei sempre che le mie parole creassero immagini, vorrei tornare a baciare, mangiare, leccare la prima neve che scende in quota, vorrei tornare a trangugiare avidamente pasta in frittata dopo aver conquistato una vetta, tornare a sentire l’odore dei corpi tesi allo spasimo per una salita durata ore.
Immaginate un luogo completamente immerso nella natura, lungo la cresta di uno sperone strapiombante sulle gole di un fiume.
Un piccolo agglomerato di case dove la minima presenza umana è data dal basso volume di una radio, dagli odori di un sugo con castrato in preparazione sul fuoco e dal ragliare di un asino dentro una stalla che ha resistito al tempo e agli uomini.
A Piano Vomano, la vita si vive in lentezza.
Il silenzio è quasi sacrale, l’abitato è rustico e compatto, l’anima del borgo è rimasta intatta nei secoli.
Ogni roccia, ogni prato, ogni edificio, parla alla propria gente di un duro passato.
Due donne in abito nero stazionano, immobili, su di una panchina.
Qui si svolge una bella festa estiva dedicata all’albero, elemento insostituibile nella natura di cui spesso ci dimentichiamo.
La loro forza è tale da radicarsi profondamente nella terra, resistendo ai venti e al tempo.
Noi diamo sempre per scontata la loro presenza.
In questi luoghi si trovava una delle più grandi querce d’Italia: la “mazzucche”, dalla circonferenza di ben otto metri e una vita secolare a sfidare le intemperie e la forza distruttrice dell’uomo.
Questi patriarchi non sono solo alberi, ma l’identità di un popolo, un’epopea verde.
Un fulmine più forte degli altri stavolta l'ha stroncata
Stiamo percorrendo un itinerario, un tempo molto frequentato.
Un autostrada della storia!
Una montagna russa del mito.
Lo spazio temporale che abbraccia questo tragitto è di migliaia di anni.
Pochi chilometri per attraversare un’era gigantesca e scoprire il fascino del tempo che non c’è più.
Qui in epoca preromana era come fare la classica “vasca” nel corso di Teramo.
Allora, doveva esserci una sorta di tetrapoli edificata in epoche remotissime, con tanti abitanti, dotata di più porte d’ingresso, brulicante di una massa eterogenea di commercianti, intellettuali, ma anche di una fauna umana di imbroglioni, prostitute, affaristi, miserabili e viziosi.
La grande metropoli sarebbe stata distrutta, secondo una leggenda che fa sorridere, da enormi formiche voraci.
Le storie incredibili che sono state tramandate nei vari insediamenti di questo acrocoro verde di pascoli e ricco di acque che formano il distretto di Crognaleto, sono tutte gustose.
A San Giorgio a oltre mille metri di altitudine, c’è la misteriosa “ara delle schiazze” su cui si credeva danzassero, leggiadre, le fate.
Non lontano da questo luogo da favola, su di un crinale, dal tempio dedicato al santo che sconfisse il dragone del Male, fino a pochi anni fa, rimbombavano i rintocchi della campana fusa sul sagrato, a ricordare il miracolo dei muli che s’inchinarono al passaggio del condottiero armato da Dio.
C’è, non lontano, una piccola chiesina con la volta a crociera.
Nel suo interno sembra scomparire la nervosa inquietudine della quotidianità.
Si percepisce la presenza di Dio che penetra nel corpo e nell’anima con una fisicità che investe tutti i sensi.
Pare che fino a non molti anni fa, tutto intorno si sentissero dei rumori misteriosi.
Gli scettici dei paesi vicini sostenevano fosse il vento.
Qualcuno giurava di aver sentito anche urla strazianti.
A gridare selvaggiamente, sarebbe, per la tradizione popolare, il diavolo murato vivo nei secoli scorsi dai contadini.
E ancora, a pochi passi da Figliola e di fronte al vecchio abitato di Ajello, troneggia ancora la temibile “Rocca Roseto”, tra antichi passaggi segreti, botole con lance acuminate e cunicoli che discendono a valle.
Fu proprio intorno al perimetro delle mura che un mio conosciuto amico, Gino di Teramo, rinvenne un’antica daga acuminata.
E fu ancora qui che altri trovarono degli stiletti utilizzati dai briganti che transitavano nell’immenso pianoro dove oggi si svolge la “mostra della pastorizia”.
Fra i reperti tornati alla luce nel corso degli anni, pare ci siano anche mattonelle votive con disegni di leoni ruggenti, fiere con artigli e fauci spalancate che simboleggiavano quanto terribile sia l’aldilà e il passaggio dalla vita alla morte.
Il luogo evoca anche terribili storie di streghe.
Da queste parti doveva esserci, per la ricca tradizione popolare, una sorta di succursale della campana Benevento, unanimemente riconosciuta come la capitale della stregoneria.
Il grande scrittore Guido Piovene, autore quasi sessanta anni fa, del famoso libro “Viaggio in Italia”, presentava queste terribili figure femminili, dotate “di piedi palmati come anitra, cavalcatura, cavaliere servente ed amante concesso ad ognuna da Satana, che giungevano in volo intorno ad un antico noce.
Col sangue tratto dalla mammella sinistra, ognuna facea voto di odio, adulterio, maleficio e omicidio, almeno una volta al mese”.
Un racconto di aurea gotica che prevedeva la presenza del diavolo in forma di caprone a promettere beni mondani a chi lo assecondasse nei suoi progetti malefici.
Siamo partiti dalla piccola piazza all'ingresso del borgo a poco più di ottocento metri di altitudine e, fiancheggiando una piccola edicola votiva, ci siamo portati su di un ampio tracciato, dove non s’incontra anima viva.
C’è, davanti a noi una piccola cappella, icona del buon viaggio.
È quanto di più poetico possa esistere.
La tradizione popolare ricorda che l’immagine santa serviva a proteggere i viandanti dalle forze del male che vagavano senza posa.
Sul futuro di tutte queste impronte mistiche non gravano solo le avversità meteorologiche ma, soprattutto, incuria e vandalismo.
Ricordo che su un pilone sacro, nelle Dolomiti del Brenta sul lago di Molveno, lì dove c’era una impolverata Addolorata, chiamata la Madonna del Dito perché dal mantello azzurro drappeggiato sul petto spunta la punta del pollice, lessi una scritta inquietante: ”oh passeggero, ferma il passo, guarda il passo, oh che passo, l’ultimo passo”.
C’è ovunque, anche in posti sperduti, un patrimonio di religiosità popolare impossibile da catalogare con un numero incalcolabile di edicole, nicchie e crocicchi. David Maria Turoldo, poeta e frate dei Servi di Maria, scomparso nel ’92 descriveva così questa devozione di strada: “povere immagini opere di anonimi artisti che per me sono amabili al pari di Giotto e Cimabue…”.
(continua)
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Per raggiungere Piano Vomano si percorre la S.S. 80 Teramo L'Aquila fino al bivio per Senarica – Piano Vomano; qui si gira a destra e dapprima si scende.
Poi ci si inerpica e si attraversa il centro abitato di Senarica prima di arrivare nel suggestivo borgo.
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