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mercoledì 17 luglio 2013

La Vergine di Amatrice

L'erba un tempo veniva tagliata regolarmente intorno ai piccoli tavoli in legno disseminati nella piana sotto Cima Lepri dove sorge la splendida chiesina della Cona Passatora.
 Il piccolo borgo, una manciata di chilometri da Amatrice, è un semplice aggregato di antiche case montane fatte di pietre abbrunite dal tempo.

Il vecchio parroco, sconsolato, dall'ambone domenicale predica ai fedeli a messa di munirsi tutti di falce e decespugliatori perchè il comune di Amatrice latita.
Pensare che questo minuscolo tempio è di una bellezza incredibile.

Pare che a vederlo si sia scomodato niente di meno che il grande Zeffirelli.
Anni fa, raccontano in paese, dopo aver realizzato il film “Gesù di Nazareth”, il regista piombò in tarda serata in questo luogo idilliaco che ha poco di urbanizzato. Chiese di poter vedere l’interno della Cona Passatora.

Raccontano che il fiorentino sia rimasto così colpito dagli affreschi contenuti nella piccola chiesa campestre che non voleva più andarsene.

L’antica cittadina dello spaghetto amatriciano è lontana una manciata di curve da questo splendido luogo sacro, scrigno artistico posto proprio sotto la parte più aspra dei monti della Laga.

Si trova sulla riva destra del Ferrazza, piccolo affluente del fiume Tronto il più importante dei corsi d’acqua del piceno.

“Il Tronto nasce qui- mi dice Guerino un allevatore della zona - basta avere piedi buoni e salire sul versante occidentale della Laghetta”.
Indica col dito la cima.

Strana etimologia quella del nome Tronto che deriva dall’antichissima città di Truentum situata un tempo alla sua foce e chiamata così per via di un cippo “rotondo” (trondo) simbolo del luogo.

Pare che la città debba la sua nascita a una banda di delinquenti che imperversavano con le loro ruberie sia nel teramano, che nel reatino.
Paesi sperduti della provincia di Teramo come Valle Vaccaro, Macchiatornella, Padula, furono rasi al suolo più di una volta da questi maledetti senza scrupoli.

La città con il suo caos è lontana mille anni luce.
Sono a meno di quindici chilometri dalle profonde acque del lago e poco più di venticinque dall’inizio del tratto teramano della Strada Maestra del Parco nella valle del fiume Vomano.
Miracolosamente, il minuscolo edificio non presenta i danni del maledetto sisma.

Si vive un’armonia rassicurante in una gamma di colori che per definirli occorrerebbe un più vario vocabolario cromatico.
Colpevolmente, turisti stranieri e italiani allettati dai piatti fumanti dei bucatini all’amatriciana, indecisi se preferirli bianchi col guanciale di maiale o rossi con il pachino e i peperoncini cocenti, ingozzati di buon pecorino e agnello di montagna, ignorano la visita a questo posto indimenticabile.

Eppure qui arte e natura si fondono mirabilmente, donando gioia agli occhi.

“E per fortuna…”- dice la signora Elena, una delle incaricate ad aprire il piccolo portale ai visitatori occasionali - altrimenti qui ogni giorno sarebbe la processione della Madonna di Filetto”.
La donna, gentilissima, è allampanata, lunga e pallida.

La Vergine si degnò di apparire, racconta, in un libercolo, l’anziano parroco, Don Sante Paoletti della basilica di Sant’Agostino, ad alcuni agricoltori intenti a lavorare i campi.
 Videro nel crepuscolo della sera, all’ora del “vespero”, emanare un grande bagliore da una piccola statua della Madonna, posta in un’edicola votiva in mezzo al sentiero.

Una luce prodigiosa, canti celestiali e un’apparizione che continuò per giorni davanti a tutta la popolazione della vallata, inginocchiata a pregare.
La donna che ho davanti, non sembra mai contrariata di dover fare spesso la spola tra il piccolo borgo e la chiesa sperduta nella radura.

Un onore e un onere che ogni tanto le peserà soprattutto quando arrivano a rompere le uova nel paniere a mezzogiorno, mentre è davanti ai fornelli.

Mentre racconta entusiasta la storia dell’antica cona votiva, lame di luce si insinuano tra il legno del piccolo portale e l’interno.
Sotto la mirabile volta gotica mi accoglie l’antica immagine affrescata, rappresentante la Madre di Dio lattante con il piccolo Gesù.
E’ di un verismo incredibile.
Tutto intorno, si ammirano dipinti raffiguranti i dottori della chiesa e l’opera insigne del grande Cola d’Amatrice, al secolo Nicola Filotesio.

L’artista, in ricordo del miracolo, ideò in questo luogo un dipinto raffigurante la Madonna corteggiata dalle schiere degli angeli che, con strumenti musicali, suonavano le lodi a Dio.
Le pitture risalenti al XV secolo contengono anche schizzi meravigliosi di abeti bianchi a testimonianza della presenza di questi alberi nei boschi vicini.

La piccola folla in jeans e sandali che ha pregato nella celebrazione Eucaristica ora è tutta dispersa nel verde circostante, tra prati, boschi di larici, querce e abeti.

Il sole primaverile è piacevole.
Tutti sono beatamente stravaccati in panchine comode in attesa che i malcapitati di turno finiscano di cuocere la carne ai ferri sulle fornaci sparse qua e là nella radura.
C’è con loro anche un giovane prelato tutto compunto nel suo completo nero e colletto inamidato.
L’aria che giunge dalla vetta di Cima Lepri è frizzante ma gradevole.

Decido che la prossima tappa debba essere la valle delle cascate nel versante reatino della Laga, proprio di là della località turistica de il “Ceppo” teramano e la foresta del Castellano.

Per la Cona Passatora partendo da Amatrice si raggiunge prima Retrosi, quindi si oltrepassa la frazione di Cossara e prima di arrivare a Ferrazza, poco oltre il cimitero, si continua con una sterrata che in breve permette di raggiungere il Santuario.

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