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sabato 11 luglio 2015

Custodi e non padroni: Considerazioni su “Laudato sì” di Papa Francesco

«Laudato si’, mi’ Signore », cantava san Francesco d’Assisi.
In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia:
«Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba ».
Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei.
(Papa Francesco)

La lettera enciclica del Papa “Laudato sì”, è qualcosa di incredibilmente bello.

In duecento quarantasei paragrafi, a formare sei capitoli, si dipana un profondo inno alla vita, una Magna Carta del creato, la summa di tutto quello che potrebbe dirsi o scriversi a proposito di natura, ecologia e ambiente.

È soprattutto un appello alla scienza affinché si allei con le religioni per esortare le coscienze a sentire propria la responsabilità della custodia della nostra “casa comune”.

È un impegno ancora più pressante per noi francescani, anche per il titolo scelto dal pontefice a richiamare la più bella poesia del mondo, il capolavoro del nostro serafico Padre Francesco d’Assisi: il Cantico delle Creature, inno insuperato nei secoli per la sua bellezza cosmica che penetra tutto il creato, quasi lambendo l’ineffabilità di Dio.

Era il 1224 quando il Poverello, nel silenzio di San Damiano, malaticcio e quasi cieco, soffiato nel cuore dalla forza dello Spirito Santo, dettò la pagina forse più straordinaria mai scritta per lodare Dio, abbracciando il mistero del creato e della natura e diventando il paladino dell’ecologia.
Questo, suo malgrado, dato che “Il Cantico” è un bellissimo trattato teologico, un testo dettato dall’amore per l’Altissimo e non un qualcosa per celebrare soltanto ambiente e natura.

Papa Francesco, partendo dal mistero della creazione e del Creatore, ha voluto dedicare la sua enciclica a quella lode infinita al Signore e alle sue creature per ricordarci che l’uomo, nello spirito del Genesi, non è il padrone dell’universo.

Solo Dio è tale.

E ha posto l’uomo nel centro dell’Eden “perché lo lavorasse e lo custodisse” (Genesi 2,11).

Egli non ha affidato all’uomo il governo del mondo affinché ne faccia quel che vuole.
Solo il Creatore è Signore di tutte le cose.
Noi, dice Bergoglio, non siamo Dio.

La terra ci precede e ci è stata data in prestito.
Siamo, comunque, i custodi, i guardiani che dovranno, alla fine dei tempi, riconsegnare la sua creazione all’Onnipotente passandoci uno a uno il testimone nel corso degli anni.
Proprio come ognuno di noi fa con la sua anima, nel momento del trapasso.
Parole ovvie ma che spesso dimentichiamo nella società frenetica in cui stiamo vivendo.
Questo immenso dono di Dio lo sporchiamo continuamente, lo deturpiamo così come facciamo per la nostra anima che abbiamo avuto immacolata e che invece rendiamo spesso lercia e purulenta.

Il creato è concesso da Dio all’uomo per godere degli infiniti profumi, colori, sapori e soprattutto benefici, non certo per accumulare ricchezze, mercificarlo e sotterrarlo con immonde speculazioni.

Ma il Papa ha soprattutto a cuore gli Ultimi della Terra e, in gran parte del suo scritto, ripete che il creato è di tutti e soprattutto di chi è posto ai margini della società, quei poveri, derelitti di cui Gesù parla nelle sue “Beatitudini” del meraviglioso “Discorso della montagna”.

Bergoglio propone il “modello San Francesco”, dal quale bisognerebbe imparare come sia “inseparabili la cura della natura, dalla giustizia verso i deboli, l’impegno per una società dell’accoglienza e la pace interiore tanta desiderata”.
È la Perfetta Letizia amata profondamente dal serafico Padre.

Il pontefice parla di “conversione ecologica” da un’economia che persegue, delittuosamente, solo e unicamente il profitto creando inquinamento, cambiamenti climatici, distruzione senza precedenti di ecosistemi e deteriorando la qualità della vita umana, causando colpevolmente un degrado sociale.
È un appello senza precedenti alla responsabilità in base al compito che Dio ha dato all'essere umano nella creazione: “Coltivare e custodire il giardino in cui lo ha posto” (cfr. Genesi 2,15).

“Responsabilità” pare essere la parola “chiave” per un’umanità che ha acquisito enormi poteri grazie all'energia nucleare, le biotecnologie, l’informatica e le profonde conoscenze del nostro stesso Dna.

È rischioso che questo tremendo potere sia in mano a pochi individui che dominano la gran parte dei fratelli, con i nefandi risultati sotto gli occhi di tutti.

Prendersi cura della natura è anche combattere le povertà, le diseguaglianze.
Il pontefice auspica, addirittura sottoponendosi senza paura agli strali di chi cerca una crescita avida e irresponsabile, una certa decrescita in alcune parti del mondo per favorire lo sviluppo delle zone buie del pianeta, procurando per esse risorse nuove.

Gioiamo, sembra infine dirci Bergoglio, come buon papà di famiglia, dei doni ricevuti dall'amore del Padre e noi, cristiani combattiamo la buona battaglia, incoraggiando uno stile di vita capace di non essere ossessionati dal consumo, crescendo nella sobrietà e nel rispetto di tutto il creato a cominciare dalle più piccole delle creature.

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