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lunedì 18 febbraio 2013

Montone: dove “Bucciarello” lasciò il segno.

Un mantello per proteggersi dalle intemperie, un cappello a larghe falde per ripararsi dai raggi del sole e dalla pioggia.

Poi, il lungo bastone nodoso nella parte superiore per facilitare l’appoggio e, ferrato nella parte inferiore per difendersi da lupi e briganti.


Infine, la bisaccia senza alcun lacciolo all’imboccatura, per essere pronta a ricevere ma soprattutto a dare.

Così giunse fin qui nel secolo decimo, uno sparuto gruppo di frati Celestini che poi decise di fondare un convento, bonificando e rinvigorendo la collina.
I chierici erranti pensarono di essere nel posto giusto per erigere un monastero fortificato che dominasse l’immensa valle solcata dai fiumi Tordino e Salinello.

Montone, a pochi chilometri da Mosciano S. Angelo, oggi si offre agli ignari visitatori che magari s’imbattono per sbaglio in questo gioiello, come un piccolo presepe fuori dal tempo donando l’immediata percezione di essere ormeggiati nel cuore della parte più vera della Provincia teramana.

Il borgo medioevale occupa ancora una collina di sopra di una terrazza dall’invidiabile posizione a balcone sul mare e le aspre vette del Gran Sasso.
La campagna offre al visitatore un colpo d’occhio incredibilmente bello.

Si dovrebbe salire fin quassù in ogni stagione per fotografare gli incredibili mutamenti che i campi subiscono durante le varie fasi dell’anno.

Il piccolo insediamento spirituale dei Celestini mutò in seguito, in un “castrum” fortilizio con mura perimetrali e unica strada di accesso, fin su dove oggi è ancora visibile il vecchio maschio con la torre campanaria della chiesina dedicata a
S. Antonio, tratti di cinta muraria e un bastione di mattoni e ciottoli con merli a sud ovest che guarda verso la Vibrata e scorge l’abitato di Nereto.

Il borgo, poi, nel 1300 fu Ducato degli Acquaviva di Atri e le mura fortificate furono intervallate da ben sette torri e mura.

È, in breve, la storia di un borgo oggi animato da circa ottomila abitanti.

Storia che si tinge di romanticismo con la vicenda di Bucciarello.

L’uomo, ufficiale al servizio del conte di Conversano, Antonio Acquaviva, commissionò un sarcofago in pietra e stile gotico, opera bellissima di un artista locale per contenere le spoglie dell’amata moglie, morta prematuramente.

Anni dopo l’uomo fece erigere una chiesa dedicata a San Giacomo che oggi, restaurata, impreziosisce il piccolo abitato.

Il sarcofago è sorretto da cinque colonnine, con leoni stilizzati ed è impreziosito da un bassorilievo con l'Agnus Dei e figure di angioletti.
Oggi la preziosa opera si trova nella Chiesa di S. Antonio Abate dove è ospitato anche un bel gruppo scultoreo con l'Immacolata, S.Antonio e San Camillo ai lati sull'altare maggiore e due dipinti con la Natività e la Sacra Famiglia.

Sul finire dell’inverno la luce gelida e pura inebria, vivida, i colori.
Lo sguardo spazia verso le dorsali che separano le valli dal mare e si perde nel cielo. Si riscopre nella natura, in quel contrasto tra l’azzurro cobalto e la pennellata candida di neve che orla le cime del gigante Gran Sasso, la radice della bicromia essenziale che stregò quei frati giunti fin qui.

Sembra di essere protagonisti in una pennellata larga che marca indelebilmente l’immaginaria linea dell’orizzonte, quasi spaccando in due il mondo creato dall’Altissimo.

Montone è una piccola ruga incastonata tra colline verdi, custode di un prezioso patrimonio di storia e di cultura.

In mezzo a zolle ruvide, tra poggi e declivi, gli occhi sono colpiti dal colore dell’Adriatico, in basso a fine valle.

Un turchino intenso che in inverno diventa cupo e minaccioso.
Penso che la natura sia stata particolarmente generosa per quest’ angolo di territorio che offre sensazioni dimenticate e porta a scoprire in mezzo a distese di girasoli e vigneti, ginestre e fasci di alloro, stradine secondarie ricche di piccole storie agreste dove regnano pace e silenzio.

La piazzetta del Belvedere vibra di domenica al chiacchiericcio degli anziani al bar.
Uno di essi, sorseggiando un grappino, racconta storie affascinanti.

Come quando la raccolta dell’olivo regalò negli anni 50, una stagione incredibile. Quintali di olio, racconta il vecchio, che in paese non si sapeva dove mettere.
Degli improvvidi vollero trasportarlo in un fondaco vicino e, durante il trasbordo, un otre si ruppe rovesciando litri di olio.

Mentre le donne giovani volevano recuperare il possibile, la più anziana del paese, quasi cento anni, urlò di non toccare niente.
Quel liquido era maledetto e per due anni il raccolto sarebbe stato nullo, sentenziò greve.
Non fu ascoltata!
Ebbene, il mio interlocutore giura che accadde tutto ciò.
I due raccolti successivi furono quasi nulli a causa di grandinate terribili e venti da borea che sconvolsero il territorio.
Era superstizione o cosa?

Oggi Montone, come afferma la Pro Loco, è l’espressione più viva di un curioso e attento turismo culturale che va a braccetto con l’economia locale fatta di agricoltura in un’aura di malinconia costruttiva per un’epoca rurale che qui ancora vive.
Da queste attenzioni verso le origini nascono iniziative come la sagra del vino e dell’olio d’autore, la castagnata, la favata, allo scopo di valorizzare la cultura della terra, rinsaldando i legami della collettività.

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