All’improvviso, nel pieno dell’estate se n’è andata la signora Dina De Sanctis.
Qualcuno si chiederà di chi si parla.
Basta dire, “la mamma biancorossa” e tutti i teramani capiscono subito a chi rivolgiamo questo ricordo.
E chi non conosce la “diavolessa del Teramo”, la presidentessa onoraria del Club biancorosso che per oltre sessant’anni ha seguito, con la più grande passione di questo mondo, il calcio teramano e che abitava nel cuore di Teramo in piazza S.Anna?
I presidenti si sono alternati nella società teramana, da Pediconi a Chiodi, a Lombardi, poi Malavolta, oggi Campitelli, ma lei è sempre stata lì, con la sua inconfondibile sciarpa a righe bianche rosse, con il suo affetto materno, la sua umanità, che ha sempre elargito a piene mani.
Chi andava a trovarla nella bottega di “Patruno”, nonostante fosse in un negozio di Onoranze Funebri trovava la vita e la gioia di viverla.
In una bella intervista per il quotidiano Il Cittadino, anni fa, Dina mi raccontò con incredibile memoria di quando, in età adolescenziale, seguiva il papà alle partite del Teramo; la sua prima “volta” in un lontano febbraio del 1940 quando i biancorossi pareggiarono a Roma con l’Alba, in una partita che avrebbe dovuto vincere e che l’arbitro decise con un rigore inesistente per gli avversari.
Quel giorno, Dina sciorinò statistiche da far impallidire anche il compianto Sandro Ciotti.
Raccontò il momento più difficile della società, nel 1974-75, quando le casse del Teramo Calcio erano vuote, nonostante squadra giocassero Pulitelli, Piccioni, Casagrande.
I dirigenti di allora chiesero aiuto a “mammà” per occuparsi della mensa dei giocatori.
La situazione era disastrosa, soldi pochi, passivo molto.
Dina prese a raccogliere fra gli sportivi pasta, carne, uova.
E Teramo rispose alla grande:
Cerulli mandava damigiane di olio e vino, Profeta rastrellava ogni tipo di derrata alimentare e per tre anni il Teramo non spese niente per i pasti dei giocatori e la situazione debitoria fu superata.
“Quando tornavano dagli allenamenti io, ero lì con spremute di arance e merende, a trasmettere ai giocatori l’amore che le loro mamme non potevano dare perché lontane.
Una volta avevano quasi tutti l’influenza ed io dovetti curarli con medicine e cibi leggeri … ma la domenica erano dei leoni e vinsero per 2 a 0”.
Dina quella sera mi ricordò le “giornate biancorosse” organizzate quasi da sola, quando in giro rastrellava soldi per aiutare i dirigenti e una volta fu in grado di mettere insieme cinque milioni di lire che servirono per coprire i tanti debiti che la società aveva.
Narrò con orgoglio quando ebbe la medaglia d’oro per meriti sportivi dal sindaco Ferdinando Di Paola e la targa del Coni con la lettera di ringraziamento del presidente Tulli.
Pensare che il mitico Michele Tarallo, il centravanti dai piedi buoni, raccontò che, nell’agosto del 1970, quando ebbe a Montorio il terribile incidente che pose fine a una carriera che gli addetti ai lavori pronosticavano superba, Dina raccolse qualcosa come 30.000 lire fra i tifosi intervenuti all’amichevole, per donarli al nostro sfortunato centravanti.
La seconda passione della mamma biancorossa era la cucina.
Riusciva in mezz’ora a preparare sei uova di “scrippelle”.
A me tirò fuori la “sartaggna” la mitica antiaderente e cominciò a cucinare.
E mentre agitava la padella per non farvi attaccare le scrippelle, ricordò Don Pasquale Morganti, l’autore dell’indimenticabile “Fonte delle Piccine” un tempo sita in via Carducci.
In una grande nicchia, era collocato un bassorilievo rappresentante una donna giunonica con acqua zampillante che si raccoglieva in una vaschetta a forma di conchiglia posta alla base.
Fernando Aurini, nei suoi numerosi articoli dedicati alla fonte, ha più volte affermato che le forme erano quelle di una procace donna americana la quale diede fondo ai propri risparmi commissionando l’opera all’artista teramano affinché fissasse nella pietra i suoi anni migliori.
Dina ridendo gioiosamente mi disse: “ O Sé, avrebbe fatto meglio a ispirarsi alle mie!”.
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