Il rito antichissimo nel cuore dell’Interamnia resiste al tempo.
Se è vero che l'anima di una città è riassunta in particolari avvenimenti, la processione antelucana, all’alba del Venerdì Santo a Teramo, è uno dei modi più intensi per esprimere la propria natura e la propria storia.
Si tratta di una devota rappresentazione paraliturgica della Madre del Cristo alla ricerca angosciosa del Figlio condannato a morte, nelle chiese del centro storico.
Le “Addoloratine” sfilano con la statua sofferente della Vergine, cantando antiche lamentazioni funebri.
Il corteo di fedeli segue, a lume di candela e in assoluto silenzio.
L’uso delle campane è interdetto in segno di lutto.
L’evento è di grande impatto patetico, sia per le ombre, che avvolgono la città che per l’atteggiamento raccolto di tutti.
Una processione risalente al tredicesimo secolo, povera di apparati scenografici con la sola presenza di una croce nuda e della Madonna listata a lutto.
Attendibili documenti attestano che la tradizione ebbe origine nel 1260, anno di fondazione dei Disciplinati della Morte, confraternita con sede nella vecchia chiesa di San Giacomo, distrutta da molti anni.
L’associazione laico religiosa esercitava opere di carità e culto ed era una delle diverse realtà cittadine che operavano nelle chiese.
La più importante di esse era quella dello Spirito Santo che gestiva un ospedale e assisteva malati e condannati a morte.
Oggi l’organizzazione dell’evento è assicurata dalla Confraternita della chiesa dell’Annunziata, sede diocesana dell’Adorazione Eucaristica.
L’affannosa ricerca del Figlio da parte della Madre abbraccia idealmente tutta la città.
Nel corso degli anni il percorso è mutato a causa della scomparsa di alcune chiese come quella di San Matteo il cui edificio è stato alienato nel 1940, la Misericordia, sconsacrata e oggi dedicata a sala conferenze per i mutilati di guerra o quella di Sant’Antonio Abate del vecchio psichiatrico, fatiscente.
Ciò che non è mutato nel tempo, è la grandiosità della devozione cittadina di cui parla in un libro, Padre Donatangelo Lupinetti, attento osservatore e custode delle tradizioni abruzzesi.
Il religioso ammoniva di non erodere alle radici le tradizioni popolari.
Ricordava, insieme alla processione della Desolata, la celebrazione delle “tre ore di agonia del Cristo”, liturgia particolarissima detta delle “sette parole” pronunziate da Gesù durante le sue tre ore di strazio, pendente sulla croce.
Il pio esercizio, più della Via Crucis, si imbeveva di misticità e raccoglimento, tra canti, prediche, preghiere che facevano rivivere i minuti finali della vita del Salvatore.
Lo scenario era inquietante: un grande Calvario, le finestre della chiesa oscurate, il coro che intonava il “Miserere” e l’ambone listato a lutto con il lettore che commentava le ultime parole di Gesù.
Il popolo in assoluto silenzio ad ascoltare, per poi formare alla fine un serpentone interminabile pronto all’atto della umiliazione e adorazione davanti il legno sacro.
Tradizioni sacre ormai disperse dal vento dei tempi!
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