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martedì 5 marzo 2013

Sui sentieri del silenzio.


Intorno a Crognaleto, con la sua frazione principale, Nerito, insiste una miriade di minuscoli paesi, anche se i boschi stanno mangiando i rustici abbandonati e i sentieri antichi, inghiottendo parte dei segni della vita degli uomini.

Fra questi borghi c’è Frattoli a 1115 metri sul livello del mare, che conserva, oggi, più di una chiesa antica con stupendi altari lignei e con mura, dove sono ancora visibili delle belle iscrizioni del 1400, 1500, impresse anche su stipiti e portali.

Trovo stupenda San Giovanni Battista in stile gotico con il suo inaspettato portico seicentesco delle “logge”.

Il paese dipendeva da Amatrice, poi nel XVII secolo, entrò a far parte del Ducato di Atri della potente famiglia degli Acquaviva che, da queste parti trascorrevano giorni di vacanza.

Il borgo, dal quale si gode il panorama forse più bello del comprensorio, è stato a lungo un centro artigianale conosciuto nell’intaglio del legno e nella lavorazione della pietra.

Fu proprio a Frattoli che abili artigiani realizzarono la splendida statua della Madonna delle Grazie, venerata nel santuario francescano di Teramo, dove approdò alla fine di un grande pellegrinaggio attraverso Piano Roseto, Macchia Vomano e giù verso Montorio.

La Vergine, vestita di drappi pregiati come si conviene ad una regina, pare che, in groppa ad un mulo, se la vide brutta alle porte del capoluogo.

La bestia affaticata, inciampò e rotolò pesantemente sul greto del fiume Tordino, proprio sotto la strada.
Urla disperate dei fedeli che credevano di trovare la statua in mille pezzi.

Ma la Madonna delle Grazie rimase illesa e si gridò al miracolo.

L’opera, che di certo conoscete bene, è fantastica!
La bellezza del volto espressivo, il capo reclinato verso il Bambino, le mani affusolate, danno l’idea della bravura degli artigiani montanari.

Ancora oggi Serafino Zilli, l’ultimo di una famiglia di scalpellini d’epoca, fa risuonare le vecchie contrade del battito del suo martello.

Gran parte delle chiese nella Laga teramana e molte antiche abitazioni sono state abbellite dall’estro e dall’arte di questi uomini dediti all’arenaria, azzurra all’origine, beige corrosa dalle intemperie e dal trascorrere del tempo.

Inventarsi la vita in queste valli profonde non è stata cosa facile sia per l’asprezza dei luoghi, che per gli inverni lunghi.

La storia da queste parti non è altro che il racconto a volte difficile da credersi, dei sacrifici e della tenacia con cui la gente ha vinto le difficoltà di un mondo avaro di risorse.

Il lavoro artigianale dei tanti uomini come gli Zilli, si confonde ad ogni passo con la storia umana e civile dei primi insediamenti, dello sfruttamento dei boschi e dell’arte di lavorare pietra e legno servendosi dell’ingegno dei valligiani.

I fratelli, giunti fin qui da Campotosto, diedero i natali anche a Amedeo che, padre di dodici figli quasi tutti maschi, ripopolò Frattoli di muratori e scalpellini.

Alto e grande di aspetto, sorta di armadio umano, incuteva timore a prima vista, ma era di una bontà infinita.

Ha lasciato varie testimonianze della sua abilità artistica, dalla torretta della chiesa di Padula, ai finestroni di Cesacastina o gli altari a Frattoli.

La pietra, vera regina di questi luoghi si riconosce ancora oggi tra gli scempi delle costruzioni moderne.

Si capisce la squadratura dei blocchi fatta a mano per stipiti di porte e finestre, s’intuisce facilmente che queste mura non temono nessun terremoto.

In molti paesi, riattati i rustici e le antiche case, le vecchie comunità si ritrovano nelle brevi stagioni estive.
Cresciuto il benessere economico, è nato un nuovo atteggiamento nei confronti dell’ambiente.
I secolari sentieri tra boschi e costoni impervi, i valichi un tempo importanti vie di comunicazione, sono tornati ad animarsi non più percorsi da boscaioli e pastori, ma da camminatori che vogliono riscoprire la cultura montana.

Sono molti i paesi che meritano attenzione: Cervaro con la bella chiesa di S.Andrea, Altovia e Aiello, con il tempio cinquecentesco dei santi Silvestro e Rocco e Tottea, villaggio costruito su di un enorme masso di arenaria dove si trova un Ecomuseo e un Centro di documentazione del Parco.

A proposito del borgo di Tottea, chi ha voglia di arrivarci non perda la chiesa di San Michele Arcangelo con il suo tetto a capanna e il piccolo campanile a velo.
La storia del tempio sacro si colorò nel 1921, delle tinte fosche tipiche degli eventi più drammatici.

A causa di alcune candele votive accese per devozione alla Vergine Maria, si sviluppò un incendio immane.
Nel rogo andarono distrutte delle statue settecentesche, arredi sacri, il prezioso soffitto ligneo dipinto e il più grande organo a canne della Diocesi, vero orgoglio del paese.

Oggi, Tottea mostra vecchie case in pietra arenaria, portali, soglie che hanno resistito nei secoli e che testimoniano il valore della pietra per la gente di montagna.

Ogni volta mi ci reco, ho l’impressione di essere in un luogo autentico, genuino.
È come vivere in una grande famiglia e riunirsi tutti nella piccola piazza come in un salotto di casa.

È l’icona di una bellezza di vita che non esiste più. Magari la gente di allora, oggi è malandata.
Un tempo si poteva morire a vent’anni ma arrivare anche a cento per via di una naturale selezione genetica.

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