Alla scoperta dei misteri di Roccascalegna, uscita Val di Sangro autostrada A14.
Non ci sono grida, non ci sono richiami.
Il suono di questa terra da quassù sembrano il silenzio e il fruscio del vento tagliente da settentrione.
Vista da questo lembo d’Abruzzo, la Majella è arrotondata e il Monte Pallano a meridione evoca misteri con i suoi resti archeologici.
La piana offre un bel colpo d’occhio, in lontananza il lago di Bomba e la sua macchia mediterranea lasciano intravedere la magia di queste valli.
L’antico camminamento di ronda si affaccia a picco, con vista sull’antico borgo medioevale.
La piccola chiesa di San Pietro del XII secolo è compresa all’interno delle mura del fortilizio e, dalla torre di sentinella, appare avulsa dalla massiccia struttura difensiva.
Occupa l’ultima propaggine dell’immane sperone su cui poggia il fortino.
Sono all’interno del castello di Roccascalegna.
Gli squarci sui muri più alti delle garitte, che consentivano l’uso delle bocche di fuoco, sembrano lanciare moniti inquietanti.
Le scalinate sopra al ponte levatoio di accesso oggi sono state restaurate ma un tempo erano gradini ricavati dalla roccia viva.
Il borgo medioevale dall’alto sembra ancora più incantevole.
Il tempo sembra essersi fermato tra porte antiche, vie strette e semi anulari.
La più importante è la Via “Codacchie” o della strettoia.
Il paese, a cavallo tra la valle del Sangro e quella dell’Aventino, ha una storia millenaria di terra di frontiera essendo stato confine naturale di gruppi di popoli antichi italici, Sabellici, Sanniti e Frentani.
Poi man mano sono passati, in maniera distruttiva, Longobardi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi.
Le colline dai rigogliosi pergolati di viti, contribuiscono ancora oggi a nobilitare l’immagine di questa cittadina murata.
Ideale cordone ombelicale tra passato e presente, il castello che domina la valle, oggi ristrutturato a spazio museale ed espositivo, rappresenta da solo un valido motivo per una visita.
La natura, grazie ad una vertiginosa rupe di calcare, ha contribuito nei secoli a dare il senso dell’inespugnabilità a questa rocca inquietante e affascinante, luogo di eroici capitani di ventura.
Numerose leggende ruotano intorno al paese e al suo castello, tra lupi mannari, streghe, apparizioni demoniache e tesori maledetti.
Intorno al 1587 aleggiava ovunque l’aria sulfurea delle streghe.
Un periodo di grave carestia in cui i raccolti scarseggiavano da anni e la popolazione era alla fame.
La colpa di ciò fu data agli strani raduni che si svolgevano proprio all’ombra della rocca, in fondo all’ultima strada quella dello “spino santo”.
Le streghe, si racconta, furono prese e torturate con confessioni strappate a forza.
Anche il famigerato “ius primae noctis” imposto dal feudatario alle giovani donne del contado che volevano ottenere il permesso di sposare il loro amato, è qui ben rappresentato.
La guida che mi accompagna verso la torre carceraria, racconta di una fattucchiera, tal “comare Rosa” che viveva proprio alle pendici della rocca.
Pare riuscisse a guarire strane ecchimosi sulla pelle di giovani ragazzi chiedendo in cambio sacchi di grano.
Probabilmente nulla avrebbe potuto, secoli prima, contro le pestilenze che in epoche remote giungevano dalla piana abbandonata e impaludata, conseguenza di numerose incursioni saracene e il diffondersi della malaria.
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