C’è un luogo che permette un viaggio nel bello, per incontrare il passato e il presente.
È un lembo di territorio, tra Morrodoro e Notaresco, che racconta mirabili storie di devozione anche a dei turisti frettolosi, quelli classici del “mordi e fuggi” fatto di nuove esperienze e forti emozioni.
Una stradina isolata tra campi ubertosi ricchi di vigneti porta all’austera costruzione dell’abbazia di Santa Maria di Propezzano.
Il complesso religioso è dominato da una torre campanaria quadrangolare non incorporata alla facciata, ma distante circa due metri.
Lo studioso Giuseppe Ceci, in un vecchio libercolo degli anni ‘60, ipotizzava che un tempo, questo manufatto fosse “merlato a guisa di castello”.
A fianco si trova l’antico convento benedettino, dalla mole così imponente da far intuire l’importanza che ebbe nel periodo medioevale sia a livello religioso che civile.
Esisterebbe, secondo una tradizione diffusa, una pergamena oggi non più leggibile, logorata dal tempo, che lo storico Nicola Palma dovette tradurre quando era ancora comprensibile.
Questa specie di bolla, attribuita a Bonifacio IX, scritta in latino, fissava l’edificazione della chiesa nell’anno 715.
Una storia intrigante racconta dell’ennesima apparizione della Madonna nel teramano.
Tre pellegrini reduci dalla Terra Santa, dopo un viaggio faticoso, vollero fermarsi per il giusto riposo.
Appesero le povere bisacce, contenenti sante reliquie, su di un corniolo e si addormentarono.
Al risveglio, con sommo stupore, i pellegrini si accorsero che l’albero era cresciuto a dismisura e che era impossibile prendere le borse.
Mentre, attoniti, guardavano il corniolo ingigantito, una visione celeste ordinò loro di edificare una chiesa.
Il 10 maggio, data in cui tuttora si festeggia la Madonna di Propezzano, il Papa Gregorio II consacrò, in modo solenne, il tempio a Santa Maria Propizia Pauperis con l’annesso monastero, che divenne subito punto di riferimento lungo il percorso adriatico verso la Terra Santa.
Questa storia è raccontata nella pergamena.
A nulla vale la precisazione storica che Gregorio, in realtà, divenne papa dopo la data della consacrazione della chiesa e non prima.
Un altro enigma avvolge la costruzione della chiesa che, contrariamente alla successione degli stili, inspiegabilmente è stata iniziata in stile gotico e poi terminata in forme romaniche.
La facciata è costituita da tre parti di diversa altezza; la destra è accorpata nel convento; all’interno di questo c’è uno splendido chiostro con dipinti del seicento e al centro un pozzo artistico.
Sotto gli archetti si trovano delle lunette, con affreschi del pittore polacco Sebastiano Majewsky, sulla vita di Gesù.
Il corpo centrale del complesso ha un portico a tre archi sotto il quale si trova il portale e resti di affreschi del ‘400, di sopra una grande finestra tonda e, più in alto, un sobrio rosone.
La parte di destra presenta la famosa Porta Santa che viene aperta solo in maggio a ricordo dell’apparizione e nel giorno dell’Ascensione.
Tutto per tenere fede alla “Bolla Indulgentiarum”, emessa dal Papa Martino V che concesse il perdono dei peccati in queste due solennità.
A proposito della grandiosa Porta Santa, sembra provenga dalla scuola atriana del 1300.
Si attribuisce l’opera a Raimondo Del Poggio, superbo autore del meraviglioso portale del Duomo di Atri, vissuto alla corte degli Acquaviva, signori della città ducale.
Ne parla diffusamente il Palma nel suo libro: “Storie delle terre più a nord del Regno di Napoli”.
Le colonnine sono in stile cosmatesco, interessante fioritura artistica del XIII secolo, simili a quelle di San Giovanni in Laterano a Roma.
L’interno è sobrio ed elegante e le tre navate incutono rispetto.
Si resta sicuramente ammirati da una pittura raffigurante l’Annunciazione dell’Angelo alla Vergine.
Assolutamente da non perdere, l’antico refettorio dei frati con i suoi pregevoli affreschi, mutilati dal tempo.
Il viaggiatore abituato a grandi spazi non potrà ignorare la comoda lentezza di un piccolo luogo dalla grande storia e dalle leggende intriganti.
Potrà guardarsi intorno indisturbato, senza urgenze, cliccare foto,
scambiare due parole con i pochi abitanti delle cascine vicine, tutti
radunati al tavolo del piccolo bar adiacente, per poi tornare a casa con
la gratificante sensazione di aver fatto un rapido viaggio nel tempo.
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