Il sogno degli amanti della fotografia naturalistica, in montagna, è quello di immortalare con la macchina fotografica, durante una passeggiata, un lupo.
Eppure il tempo dell’odio tra l’uomo e la bestia sembra non finire mai.
Ogni stagione estiva si ripropone, puntuale, il problema dell’avvelenamento di uno di questi esemplari nel parco Nazionale d’Abruzzo o nel nostro.
Eppure la notizia passa in sordina.
Chissà perché quando, a essere avvelenati sono gli orsi, l’evento delittuoso è riportato in tutte le agenzie non solo d’Italia, facendo inorridire tutti gli amanti della natura, mentre se muoiono lupi per mano dell’uomo, nessuno o quasi se ne cura.
Ricordo che anni fa si paventava la terribile notizia della probabile estinzione dell’animale che un tempo era visto come l’assassino delle greggi.
Allora si allertarono tutte le associazioni ambientaliste, in primis il WWF e, nacque l’operazione “San Francesco”, chiamata così per la nota vicenda del poverello di Assisi che riuscì a far diventare buono un uomo che era definito cattivo tanto da essere soprannominato “il lupo”.
La mobilitazione riuscì a salvaguardare vari branchi di lupi, tanto che oggi se ne censiscono oltre 800 esemplari in Italia dall’arco alpino fino agli Appennini.
Oggi, la storia si rinnova.
Non corre più buon sangue tra lupo e uomo.
Gli occhi color ambra di questo predatore dei boschi tornano a essere terrificanti.
La favola del lupo cattivo torna a popolare il sonno agitato dei bambini ma anche dei grandi.
Sembra assurdo che una società evoluta come la nostra, con tutti i problemi più importanti che si trova ad affrontare in campo economico, etico, giuridico, ambientale e chi più ne ha più ne metta, consideri ancora oggi il lupo, un “problema” prendendo a pretesto l’uccisione di qualche pecora che sarebbe facilmente risolvibile con adeguati e tempestivi risarcimenti.
Gli allevatori trovano pecore sgozzate e, senza pensare all’opera di cani abbandonati o randagi rinselvatichiti, danno colpa ai lupi e seminano polpette avvelenate.
Un roccioso pronipote di uno dei primi pastori dell’ottocento teramano, Mario, uno degli ultimi che rientravano, anni fa, ancora ogni sera dal pascolo con pecore e cani abruzzesi al seguito, mi raccontava poco prima del ferragosto a Valle Castellana, che l’occhio del pastore che oggi magari è macedone è sempre piantato all’orizzonte per paura dei lupi.
Quando questi predatori, negli anni ’70, scannarono quaranta pecore del gregge, chiese un risarcimento per gli ingenti danni subiti.
E’ ancora in attesa!
“In Abruzzo un tempo c’erano due pastori su tre persone.
Tutti eravamo orgogliosi di esserlo”.
Poi, mi racconta l’incredibile storia del “luparo”, un uomo che viveva a est di Collegrato di Valle Castellana, nel paese, oggi scomparso, di Valleppiara, ai margini di un bosco rigoglioso di faggi, aceri e tassi.
Il borgo era lontano dalle strade di comunicazione, nascosto tra i boschi e difeso da dirupi scoscesi.
Qui i banditi, al sicuro, progettavano le loro malefatte.
A seconda che fossero perseguitati con maggior vigore nel Regno o nello Stato Ecclesiastico, essi si spostavano dall’una all’altra parte datosi che i confini attraversavano i monti della Laga.
Era un centro importante dove si svolgeva la più grande fiera di bestiame dei dintorni.
L’antichissima chiesa e le sue case aggrumate furono distrutte nel 1649, insieme all’abitato di Basto, Fornisco e Brandisco quando, per stanare la terribile masnada del brigante Bartolomeo Vinelli detto “Il Martello”, non fu trovato di meglio che distruggere dalle fondamenta vari luoghi ricchi di storia.
Tutto ciò che poteva essere conservato, insieme agli abitanti superstiti, fu trasportato a Collegrato.
Qui era nato il più grande dei “lupari” gli specialisti della caccia al lupo.
Era uno degli epigoni tra i cacciatori che in passato raccoglievano grande popolarità.
L’uomo era in grado di imitare il verso del lupo alla perfezione attirando gli animali in imboscate letali.
Il luparo viveva delle ricompense della gente, portando in paese le teste mozzate.
Erano i primi anni del ‘900.
Il lupo era un nemico, azzannava le bestie da lavoro, strappando loro bocconi di carne.
Alle soglie del tremila, il lupo è ancora il nemico.
Termina con amarezza e con aria sibillina il buon Mario:
“Scrivi che i lupi sono ormai rari nelle nostre montagne.
Oggi, esistono però animali più selvaggi: gli uomini, quelli che uccidono la pastorizia con divieti e carte bollate”.
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