
In vetta ci andavo da piccolo, trascinato fin su da uno zio camminatore che appena poteva scappava dal traffico, dal rumore e dallo smog di Teramo e si rifugiava in mezzo a questi ambienti straordinari in cerca di pace in alto sul mondo.
Mentre leggeva un brano di un libro a voce stentorea per farmi sentire, io esploravo, perlustravo le pietre, osservavo alpinisti che salivano su cime vicine e che presto sparivano ai miei occhi.
Mi chiedevo dove andavano e coltivavo così il mio desiderio spasmodico di scoprire il mondo e viaggiare.
Ho sempre pensato che la montagna sia il luogo dell’alterità, il posto magico dove sentirsi piccoli e umili di fronte alla grandiosità di un Dio artista che nei suoi scenari sconfinati, intende farci sentire piccoli dentro.
Certo, infinitamente piccoli, ma grandi nella considerazione del nostro Signore.
La montagna è bella di una bellezza magnifica ma al tempo stesso è terrorizzante.
È un laboratorio di vita dove conoscere mondi inesplorati a cominciare da noi stessi.
Porta con sé vertigini e paure e la sua dimensione verticale attrae come un magnete l’uomo che vuole superarsi ma che rischia di ridimensionarsi irrimediabilmente.

Mi dicevo, ecco il dilettante che sei povero stupido che credi di padroneggiare gli elementi.
Poi, molto tempo dopo, ho capito il messaggio che la natura mi inviava e che io non leggevo tra le righe: impara a conoscermi, è il passo fondamentale per amarmi e per rispettarmi.
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