Qualche anno fa, stavo facendo una lunga camminata in cresta su Peschio Palombo, una cima magnifica, poco conosciuta dei monti della Laga, nella parte più profonda del nostro Parco, che s’innalza regalando brividi di esposizioni ardite sul ripido.
Fermandomi ad asciugare il sudore, gli occhi caddero in fondo alla valle.
Davanti a me un territorio tutto da scoprire.
Terra di alta montagna, terra di contadini e pastori, isolata e vivente di produzione propria.
Per la maggioranza degli umani, nessun motivo per trascinarsi fin qua.
Azione assurda, anche inutile, scoprire i recessi di una terra dimenticata da Dio.
Ma, fu allora che fui preso dal desiderio di conoscere le storie raccontate dalle pietre e dal vento, fu in quel momento che ebbi la certezza che gli uomini duri e forti che popolavano quest’Abruzzo minore, erano eroi aggrappati alla montagna, che conquistavano giorno per giorno la loro esistenza senza garanzie e sicurezze.
Guardai dall’alto della cima e, negli occhi rimasero i colori, il ricordo più vivo, indelebile: i fiori abbarbicati alle rocce, il verde dei pascoli in basso, il cielo azzurro, tutto era magia.
Perché la magia esiste su queste montagne.
La stavo percependo dall’alto di quel picco roccioso, con forza, con tutti i sensi, tra gli infiniti crinali di pietra, tra il ruggito del vento e le macchie bianche delle pecore.
Una magia ipnotica che costringeva a trovare alternative alla certezza della vita.
Era la quotidianità che incontrava lo straordinario.
La magia di quelle montagne invadeva ogni cellula del corpo e della mente, come una malattia incurabile, inesorabile che non dà certezza di cura.
Il giorno dopo, domenica, io, con la mia immancabile tenda e l’amico di mille escursioni, Massimo, eravamo accampati di fianco allo scheletro di un ghost town, uno dei tanti borghi abbandonati di questi stupendi monti.
L’insieme di case in rovina, simile ad un alveare, quelle vecchie abitazioni senza tetto, corrose dal tempo e da vento e pioggia, con la loro piccola chiesa dal campanile crollato che soffrivano la vita scomparsa, mi colpirono profondamente.
Nonostante fosse un giugno con tanto sole, il vento soffiava con una brutalità selvaggia, tra le carcasse di quelle vecchie mura.
Muggiva terribilmente.
Forse fu in quel momento che maturai l’idea di scrivere questo libro.
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